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Giovedì, 04 Lug 2024

altLa settimana scorsa, mentre mi trovavo a Barcellona per un Convegno scientifico, mi veniva segnalata una lettera del Direttore dell’Osservatorio Vesuviano, Dott. Giuseppe De Natale, apparsa sul Corriere del Mezzogiorno del 13 giugno, in risposta a presunte insinuazioni del Prof. Franco Ortolani in merito alla vexata questio dei rischi connessi a sondaggi profondi nei Campi Flegrei con finalità geotermiche.

De Natale, in modo molto singolare, affermava che l’Osservatorio Vesuviano (INGV) non avrebbe alcun dovere per quanto riguarda la sicurezza dei cittadini, in quanto essendo lo stesso INGV un Ente di Ricerca “non ha alcun compito di «rassicurare i cittadini», né di allertarli. Noi svolgiamo ricerca e sorveglianza sulle nostre aree vulcaniche, e valutiamo la pericolosità dei fenomeni naturali, informandone la Protezione Civile. E non è nostro compito prendere decisioni sulla sicurezza dei cittadini, né per fenomeni naturali né, tantomeno, per attività industriali”.

Peccato, però, che l’INGV sia l’organo tecnico al quale la Protezione Civile fa riferimento e che da questa riceva cospicui fondi, proprio in relazione alle attività di sorveglianza sia vulcanica che sismica del territorio, finalizzata appunto alla salvaguardia e alla sicurezza dei cittadini. Sembra di capire, secondo la visione di De Natale, che gli scienziati dell’INGV siano talmente bravi da ricevere fondi pubblici dalla Protezione Civile.

Ma sappiamo bene che così non è.

Si tratta, in verità, di un palese conflitto di interesse, mai sanato, laddove la Protezione Civile finanzia di fatto un Organo di sorveglianza (e anche di ricerca) che dovrebbe essere super partes e che, come tale, non dovrebbe assolutamente potere svolgere attività di consulenza finalizzate ad attività industriali che mettono a rischio la sicurezza dei cittadini.

Ma nella superficialità e nella confusione dei ruoli, forse al Dott. De Natale questo non è stato ben chiarito. Ma d’altronde chi dovrebbe chiarirglielo? Il suo Presidente, accademico di “medio livello”?

Diversa è la posizione dell’AMRA (acronimo che sta per Analisi e Monitoraggio del Rischio Ambientale), un centro di competenza/appartenenza (si veda articolo apparso sul Foglietto del 21 ottobre 2014), citato come organismo che supporterebbe l'idea del sondaggio profondo a rischio zero.

Non è il caso mi soffermi sul ruolo di tale Centro che, fra le tante emergenze territoriali e ambientali dalle quali è stata funestata la Regione Campania, non mi pare proprio che sia mai stato molto presente, pur ottenendo corposi finanziamenti pubblici. Sembra proprio che AMRA, non facendo molto per ridurre il rischio, consapevolmente o inconsapevolmente, il rischio lo promuova.

Sostanzialmente, pare proprio che sia INGV che AMRA, si affannino a sostenere l’innocuità di sondaggi profondi nei Campi Flegrei, ignorando i tanti incidenti che si sono verificati in aree vulcaniche attive del mondo, in tempi recentissimi: cito solo quelli verificatisi in Indonesia e nelle Azzorre. Ma nella letteratura scientifica e non c'è una profusione casistica molto consistente. Continuo a pensare, come mi insegnava il mio indimenticato Maestro, Prof. Felice Ippolito, che non ci si può definire scienziati se non si è intellettualmente onesti. Ma, molto napoletanamente, diciamo che così va il mondo.

Vengo ora al problema dei sondaggi e del rischio connesso.

Penso che ci sia una gran confusione sull’argomento. Una attività, sia essa finalizzata alla ricerca pura che applicata con fini di profitto, deve necessariamente partire dalla conoscenza dello stato dell’arte, per produrre dati nuovi, che in ogni caso sono sempre utili, purché acquisiti con tutte le cautele del caso.

Riguardo alla potenzialità geotermica dei Campi Flegrei essa è ben nota - direi da almeno 2000 anni: vedi impianti termali Romani - grazie a diversi sondaggi superficiali e profondi che si sono effettuati fino agli anni 80 del secolo scorso.

In particolare, una joint venture AGIP-ENEL alla fine degli anni 70 ha effettuato ben 11 sondaggi profondi (spinti fino a 3200 metri di profondità) nei Campi Flegrei, finalizzati alla scoperta di energia geotermica, concentrati soprattutto nella zona di Baia-Bacoli e San Vito (Via Campana), ma anche a Licola.

Ebbene, tali sondaggi attestano, senza ombra di dubbio, che le caratteristiche dei fluidi superficiali e profondi sono tali da renderli inutilizzabili ai fini della produzione di energia geotermica (erano di temperature elevate, oltre i 350°C, ma estremamente salini; con punte fino al 70% di NaCl equivalenti).

I fluidi ad elevatissime temperature, riscontrati oltre i 2000 metri di profondità, avevano la caratteristica di trovarsi in fase supercritica, vale a dire ad elevatissime pressioni, cosa che rendeva estremamente rischioso un loro utilizzo.

Questo portò, ad  esempio, a dovere tombare (cementare) immediatamente il pozzo San Vito 3, in ragione del rischio di esplosione idrotermale, cosa che avrebbe potuto innescare poi una eruzione di tipo magmatico.

Queste evidenze, unitamente alla enorme densità abitativa dei Campi Flegrei, costrinsero la joint venture AGIP-ENEL a rinunciare all’idea di poter sviluppare la costruzione di una grande centrale geotermica (superiore ai 5 MGW) nei Campi Flegrei (tipo Larderello).

In sostanza, a parte le caratteristiche dei fluidi profondi, la situazione al contorno non rendeva in ogni caso possibile un tale sviluppo industriale.

E’ cambiato qualcosa per quanto riguarda la densità abitativa dei Campi Flegrei? Penso proprio di no, anzi negli ultimi 30 anni la situazione è addirittura peggiorata, con una crescita abitativa assolutamente fuori controllo. Nella sostanza queste ragioni, penso, rendano assolutamente improponibile un sondaggio profondo nei Campi Flegrei.

Comunque, i dati AGIP-ENEL fornivano anche un livello di conoscenza notevole in merito alla situazione esistente nei primi 1000-1200 metri dei sondaggi esplorativi, vale a dire l’esistenza di fluidi che raggiungono i 150°C e con una salinità ottimale ai fini geotermici (vale a dire inferiore al 10% di NaCl equivalenti).

Ora, con le nuove tecnologie, è possibile sfruttare questi fluidi per produrre energia di bassa entalpia, attraverso la realizzazione di diversi piccoli impianti (max 0,5 MGW).

L’attuale legge consente di poter procedere attraverso semplici permessi regionali, senza i vincoli della Valutazione dell’Impatto Ambientale (VIA), purché ci si limiti a non superare i 450 metri di profondità. Per rendere possibile però lo sfruttamento dei fluidi fino a 150°C di temperatura e a bassa salinità bisognerebbe cambiare il limite massimo della profondità da raggiungere, portandola da 450 a circa 1000-1200 m.

Sondaggi fino a questa profondità non raggiungerebbero i fluidi profondi supercritici e ipersalini (quindi, comunque, inutilizzabili ai fini geotermici) e comporterebbero un rischio infinitamente inferiore. Ben precisando però che tutte le attività industriali non hanno MAI un rischio zero, soprattutto in considerazione dell’enorme densità abitativa dei Campi Flegrei, cosa questa che non consentirebbe al progetto di superare il vaglio della VIA.

In ogni caso, i fluidi caldi molto superficiali costituiscono una risorsa enorme ai fini del riscaldamento abitativo. Per questo utilizzo basta trovare una differenza di 10-15°C fra superficie e sottosuolo per consentire uno sfruttamento commerciale. Queste condizioni si trovano praticamente in tutti i Campi Flegrei, alla profondità di qualche centinaio di metri (e quindi nei limiti dei 450 metri della legge Regionale).

Allora, perché, con tanta pervicacia, si continua a fare disinformazione scientifica?

Benedetto De Vivo - Professore Ordinario in Geochimica Ambientale presso l'Università di Napoli Federico II e Adjunct prof. presso Virginia Tech, Blacksburg, VA, USA

 

 

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