Il 31 gennaio scorso, tutti abbiamo letto la notizia della sentenza di primo grado emessa dal tribunale di Lucca per il disastro ferroviario di Viareggio, che provocò la tragica morte di 32 persone, il ferimento con danni permanenti per altre 25 e praticamente la distruzione e la devastazione del quartiere circostante la stazione ferroviaria.
Un processo durato 8 anni che vedeva sul banco degli imputati 33 persone accusate, a vario titolo, di disastro ferroviario, incendio colposo, omicidio colposo plurimo, lesioni personali. Reati per i quali l'accusa aveva chiesto, per alcuni, condanne a 16 anni. Alla fine, in 23 sono stati giudicati colpevoli insieme a Rfi e Trenitalia. Tra gli altri, sono stati condannati: a 7 anni Mauro Moretti, all'epoca amministratore delegato di Ferrovie dello Stato, ora alla guida di Leonardo-Finmeccanica (il cui cda si è affrettato a dichiarare che "permangono in capo all'amministratore delegato tutti i requisiti previsti dalla vigente disciplina, nonché la piena capacità di esercitare le prerogative connesse all'ufficio di organo delegato ed ha confermato, all'unanimità, piena fiducia all'ing. Moretti”). Condanna a 7 anni e 6 mesi per Michele Mario Elia, all'epoca amministratore delegato di Rfi, oggi Country Manager italiano della TAP, la Trans Adriatic Pipeline, che realizzerà il gasdotto che trasporterà gas naturale dal Mar Caspio in Europa. Altro condannato eccellente, sempre a 7 anni e 6 mesi, è Vincenzo Soprano, ex amministratore delegato di Trenitalia e di Fs Logistica e altri 8 dirigenti di Rfi e Trenitalia, con condanne tra i 6 anni e 6 mesi e i 6 anni.
Ma, dati i tempi del processo, alcuni reati, come l'incendio colposo e le lesioni gravi, già tra un mese saranno prescritti.
La sentenza, quando verrà pubblicata, molto probabilmente confermerà il mancato rispetto di ogni più elementare norma di sicurezza in quella vicenda che poteva provocare ancora più morti se solo si fosse incendiato un altro vagone carico di gpl o, se non fossero stati fermati in tempo, dal capostazione viareggino, i treni passeggeri in arrivo.
È successo a Viareggio, ma potrebbe ripetersi ogni giorno, in altre località attraversate dalla rete ferroviaria, laddove transitano treni merci che trasportano anche materiali pericolosissimi, senza che vi siano adeguate misure di sicurezza per salvaguardare i quartieri circostanti la rete stessa.
Forse, proprio per questo, lo Stato non si è mai costituito parte civile e, a parte il ministro Graziano Delrio che ha definito la richiesta di condanna dei Pm a 16 anni “sproporzionata”, il governo ha mantenuto un assordante silenzio su tutta la vicenda.
Una vicenda che fa emergere come nelle medesime società accusate e condannate valga il principio dei due pesi e due misure se sono vere, come sono, due vicende che vedono coinvolti o meglio vittime proprio due ferrovieri.
Evidentemente, garantismo e principio dell'innocenza fino all'ultimo grado di giudizio si applicano solo per gli amministratori e i dirigenti - che vengono promossi a nuovi e più prestigiosi incarichi anche mentre sono imputati o condannati - ma non ai semplici lavoratori.
Così, ad esempio, Mario Moretti e Michele Mario Elia hanno ricevuto, oltre a nuovi e prestigiosi incarichi, importanti onorificenze. Il primo, il titolo di Cavaliere del Lavoro, il 31 maggio 2010, e, il secondo, la Stella al Merito del Lavoro, il 26 aprile 2013.
Viceversa, sempre restando ai fatti di Viareggio, Riccardo Antonini, un ferroviere esperto di sicurezza che nel 2011 prestò la sua consulenza gratuita ai familiari delle vittime è stato licenziato. Licenziamento sul quale sta per esprimersi in questi giorni la Corte di Cassazione.
Così pure significativa è la vicenda che, da oltre 10 anni, vede coinvolto e vittima il ferroviere Bruno Bellomonte, che ha subito finora due procedimenti penali, un licenziamento e due sospensioni dal lavoro, l'ultima tutt'ora in corso.
Bruno, fino al 2014, capostazione a Sassari e, al contempo, impegnato nel sindacato nonché dirigente dell’organizzazione comunista “A' Manca pro S'Indipendentzia”, attività che lo hanno reso molto conosciuto e stimato in Sardegna, in particolare, per le sue battaglie condotte a difesa di identità, tradizioni e dignità del popolo sardo.
L'11 luglio 2006, Bruno Bellomonte viene arrestato e tenuto in prigione a Sassari per 19 giorni con l'accusa di terrorismo, per quanto avrebbe affermato durante una conversazione in marcato accento sardo - circostanza singolare dato che Bellomonte è di origine siciliana - intercettata il 26 agosto 2003, nell'ambito di indagini per associazione sovversiva.
Bruno riesce a dimostrare che al momento dell'intercettazione era in Tunisia e, quindi, non poteva essere presente alla conversazione.
Ciononostante, gli inquirenti nel giugno 2009 tornano alla carica con le medesime accuse e Bruno Bellomonte viene nuovamente arrestato perché sospettato di terrorismo a seguito di una intercettazione ambientale effettuata in una osteria di Roma. Lo accusano di aver progettato azioni contro il vertice G8, quell'anno previsto alla Maddalena (con la realizzazione di opere tanto dispendiose quanto discutibili) e poi dirottato a L'Aquila.
Nello specifico, avrebbe detto ad alcune persone, tenute sotto controllo dalla Digos, che non restava altro modo per opporsi al G8 che “attaccare” i grandi della terra utilizzando 'modellini telecomandati', che per gli inquirenti non potevano che essere degli elicotterini. In realtà, la sua attività, pienamente lecita e condivisa da tanti cittadini e militanti indipendentisti sardi, in quei mesi era concentrata nella preparazione del controvertice delle “Nazioni senza Stato”, volto a criticare la politica delle potenze mondiali in generale e, in particolare, quella italiana.
Nonostante queste accuse prive di fondamento, Bruno è stato tenuto in carcere per ben 29 mesi, fino al 21 novembre 2011, quando è stato assolto in primo grado.
Nel 2014 è stato prosciolto definitivamente e con formula piena dalla Cassazione.
Come se questa pesante vicenda giudiziaria durata ben otto anni non bastasse, fin dal 2009 la società RFI Spa, di cui Bellomonte è dipendente, durante l’ingiusta detenzione lo licenzia. Una sanzione spropositata che, a rigor di legge (Art. 102-bis delle disposizioni attuative del c.p.p.), avrebbe dovuto essere revocata immediatamente, non appena Bellomonte è stato prosciolto la prima volta.
Per riavere il lavoro Bruno è stato costretto a fare una lunga, costosa ed estenuante causa di lavoro, il licenziamento è stato prima sospeso, con ordinanza del Tribunale di Roma del 2012, e poi annullato, con sentenza di 1° grado, nel marzo 2016. Ma Rfi ha impugnato il provvedimento, ricorrendo in appello. La Corte d'Appello di Roma, pur respingendo il ricorso dell'azienda, tuttavia, sosteneva che non essendovi stata una pronuncia di illegittimità del licenziamento non vi può essere la reintegra. Una sentenza tale da consentire a Rfi Spa, nonostante il ricorso sia stato formalmente rigettato, di allontanare nuovamente Bellomonte dal lavoro.
Anche i giudici di Cassazione hanno sostenuto la stessa tesi negandogli la reintegra, respingendo il suo ricorso in cui chiedeva di essere riammesso al lavoro per il fatto che il suo licenziamento è derivato esclusivamente dallo stato di ingiusta carcerazione.
Così il legale di Bruno ha presentato una istanza di revisione della sentenza.
In realtà, Bruno Bellomonte non ha contestato il licenziamento ma la sua mancata riassunzione dopo la notifica a Rfi della sua scarcerazione e del proscioglimento con formula piena da tutte le accuse. La norma di legge è semplice e chiara, come poche altre, tanto che risulta veramente incomprensibile come possano esserci dubbi applicativi: "Chiunque sia stato sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere ai sensi dell'articolo 285 del codice ovvero a quella degli arresti domiciliari ai sensi dell'articolo 284 del codice e sia stato per ciò stesso licenziato dal posto di lavoro che occupava prima dell'applicazione della misura, ha diritto di essere reintegrato nel posto di lavoro medesimo qualora venga pronunciata in suo favore sentenza di assoluzione, di proscioglimento o di non luogo a procedere ovvero venga disposto provvedimento di archiviazione".
E così, nonostante la legge sulla reintegra a seguito di una carcerazione ingiusta sia semplice e chiara, per Bruno Bellomonte non si riesce ancora a farla applicare e continua il suo stato di sospensione dal lavoro mentre per chi, almeno stando alla prima sentenza, avrebbe commesso reati ed omissioni ben più gravi, continuano ad esserci prestigiosi incarichi al vertice di imprese strategiche a livello nazionale e retribuzioni milionarie.