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Venerdì, 05 Dic 2025

esmIl dibattito che si sta svolgendo in questi giorni in Italia sul meccanismo europeo di stabilità (Mes), il cosiddetto fondo salva-Stati, ha assunto dei toni surreali.

Come ribadito in una recente intervista, anche dall’ex ministro Tria, il debito pubblico italiano è pienamente solvibile, visto l’avanzo primario registrato ogni anno in bilancio, nonché sostenibile, anche nel lungo periodo.

L’introduzione di un percorso differenziato tra Paesi virtuosi e meno virtuosi per l’accesso all’assistenza finanziaria del Mes va, quindi, rigettato, non nel presupposto che l’Italia potrebbe averne prima o poi bisogno, ma in quanto contrario ai principi fondanti dell’Unione europea, che dovrebbe semmai tutelare i soggetti più deboli e non premiare i più forti.

Senza, poi, considerare la circostanza che nell’assai improbabile evenienza di un default italiano, le dimensioni di un prestito per redimere un debito pubblico attualmente di 2.400 miliardi di euro, sarebbero tali che il Mes da solo potrebbe fare ben poco.

La vicenda della riforma del Mes è quindi mal posta: non si deve andare a trattare per evitare un peggioramento delle condizioni attuali, come l’eventuale ponderazione del rischio sui titoli di Stato posseduti dalle banche, che inciderebbe sull’assorbimento di capitale in caso di possesso di quelli italiani che hanno un basso rating. Ci si deve sedere al tavolo di riforma del Mes in modo da conseguire vantaggi per tutti, lasciando da parte gli interessi nazionali.

L’Italia, con i 14,3 miliardi di capitale versato in quattro tranche tra ottobre 2012 e aprile 2014, è il terzo contributore del Mes, dopo la Germania (21,7 miliardi) e la Francia (16,3 miliardi). A questi si devono aggiungere 33,9 miliardi versati all’Efsf e 10 miliardi di prestito bilaterale alla Grecia. Nel periodo di maggior crisi l’Italia ha sborsato quasi 60 miliardi per salvaguardare la stabilità finanziaria della zona euro, creando maggior debito pubblico di cui continua a pagare gli interessi. Avendo assolto al proprio dovere con enormi sacrifici, l’Italia ha ora tutto il diritto di rivendicare un ritorno del capitale investito.

Ora che la crisi dei debiti sovrani non è più di attualità il salva-Stati si sta trasformando in salva-banche, offrendo il suo aiuto al Fondo unico di risoluzione europeo che interviene in favore degli istituti in grave difficoltà.

Una misura analoga fu, però, sanzionata dalla Commissione europea come aiuto di stato, quando il Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd) italiano intervenne nella ricapitalizzazione di banca Tercas. E poco importa se a distanza di tempo la Corte di Giustizia europea ha dato torto a Bruxelles.

Il problema italiano, a distanza di anni, resta sempre l’enorme massa di interessi passivi che, nonostante l’avanzo primario, generano un saldo a deficit e impediscono l’adozione di misure espansive dell’economia. Il rifinanziamento del debito continua ad avvenire a condizioni relativamente troppo onerose e ingiustificate.

Il rendimento dei Btp a 10 anni è di 1,33%, molto vicino a quello degli omologhi greci (1,44%) e ben più alto dei Bonos spagnoli (0,41%) e portoghesi (0,40%). Il Mes, che si finanzia emettendo obbligazioni acquistate anche dalla Bce, potrebbe intervenire sul mercato primario o secondario stabilizzando lo spread e disinnescando la speculazione.

Il Mes non ha sicuramente la potenza di fuoco del Quantitative Easing e non può sostituirsi alla Bce, ma una riforma degli accordi di funzionamento del Mes, che consentisse di acquistare i bond di tutti i Paesi dell’euro in proporzione al capitale versato, sarebbe comunque una misura equa e vantaggiosa.

A giudicare dalle questioni che sono oggetto di discussione da oltre un anno, si può però essere certi che, comunque vada a finire, sarà un’altra occasione persa per l’integrazione europea.


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