Complice anche il caldo, seguo con un certo interesse i giochi Olimpici in corso a Parigi. I grandi eventi mondiali di sport risentono del clima politico in corso nel globo terracqueo. Anche se non lo dovrebbero proprio in omaggio allo spirito sportivo.
Quando ero bambino ricordo la finale dei campionati mondiali di calcio fra l'Ungheria di Puskas e la Germania Ovest di Fritz Walter. Eravamo nel pieno della guerra fredda e lo scontro calcistico assunse inevitabilmente il sapore di uno scontro politico tra Est e Ovest.
Ricordo quel pomeriggio quando sentii alla radio che l'Ungheria stava vincendo 2 a 0. Poi finì 3 a 2 per la Germania. I radiogiornali all'epoca, strettamente controllati dalla DC, continuarono per giorni a glorificare il capitano tedesco Fritz Walter quasi fosse il salvatore del "mondo libero".
Particolare significativo del clima dell'epoca è che mio padre, noto comunista, che era andato a vederla in Tv da un amico a San Lorenzo in una delle primissime televisioni, fu aspettato con sorrisi beffardi per sentire i suoi commenti più politici che calcistici dalla maggioranza dei condomini democristiani giù al portone del palazzo dove abitavamo all'Ina Casa di Cecafumo.
Quindi le Olimpiadi. Già nel '36, in quelle della Berlino nazista, le quattro medaglie d'oro del nero americano Jesse Owens fecero sformare non poco Hitler mandandogliele di traverso.
Ricordo nettamente quelle di Roma nel 1960. Stetti incollato alla Tv quasi tutto il giorno per seguire tutte le gare facendo un tifo sfegatato per l'Urss che, infatti, conquistò più medaglie degli americani (103 contro 71) sopravanzandoli nell'oro, argento e bronzo.
Quelle Olimpiadi furono le prime trasmesse in TV e le ultime di atleti non professionisti. Terza, in base alle medaglie d'oro conquistate, fu l'Italia.
In quell'estate, nel paese si respirava ancora il clima di liberazione politica in seguito ai moti antifascisti di luglio contro il governo Tambroni sorretto dai fascisti del Msi, che aprirono la strada al primo centro-sinistra che stava in cottura.
Rammento come sentii più volte il maestoso inno sovietico e quello americano e, orgogliosamente, quello italiano. Olimpiadi indimenticabili vissute da acerbo adolescente che si appassionò delle vittorie della "gazzella volante", la nera americana Wilma Rudolph, dell'astro nascente nero americano Cassius Clay, dell'etiope Abebe Bikila, la cui vittoria a piedi nudi nella maratona a via dei Fori imperiali sembrò quasi una nemesi storica, del nostro Berruti nei 200 metri e dei leggendari Maspes e Gaiardoni, nel ciclismo su pista.
Poi arrivarono i boicottaggi reciproci fra Usa e Urss delle Olimpiadi: Mosca 1980, Los Angeles 1984. Oggi a Parigi sono gli atleti russi e bielorussi a farne le spese, costretti a gareggiare anonimamente. Strano, perché, ripeto, le Olimpiadi dovrebbero non risentire delle vicende politiche internazionali ed essere precisamente un antidoto alle guerre, alle aggressioni e alle esclusioni in omaggio proprio allo spirito olimpico.
Comunque, nonostante tutto, le Olimpiadi sono una bella vetrina del mondo multietnico e policentrico. Anche di quello occidentale in cui i singoli vincitori di medaglie o le squadre, non solo quelli americani, sono sempre più colorati e multietnici.
Ieri le nostre pallavoliste, ad esempio, con la nera Paola Egonu, Myriam Sylla e Loveth Omoruyi, ma ci sono anche la Fahr, origini tedesche, e Andropova, origini russe, si sono qualificate per la finale con gli Stati Uniti. Prenderanno l'oro oppure l'argento. Ma sono già nella storia per la loro qualificazione per la prima volta alla finale.
Se guardate i nostri atleti voi guardate un'Italia che è già multietnica.
Aldo Pirone
scrittore e editorialista
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