Gli esperti del settore, dalla sanità all'ambiente, dalla scuola ai trasporti, dall'industria all'agricoltura all'immigrazione ecc., dicono tutti al termine delle loro analisi che servono interventi pubblici con una montagna di soldi per affrontare i problemi del loro settore. Di contro a livello europeo della Ue vigono le regole del nuovo patto di stabilità, accettato e condiviso dal governo Meloni, improntate a una nuova austerità.
La contraddizione è stridente e nonostante i funambolismi della premier post fascista su salari e sanità, in particolare, è destinata a manifestarsi sempre più nella vita reale dei lavoratori e dei ceti popolari.
La destra cerca di nascondere la cosa sviando continuamente su altre questioni l'attenzione dell'opinione pubblica. Solo che quell'austerità ha conseguenze pesantissime sui salari cui è negato il recupero dell'inflazione, sul personale addetto alla sanità, alla scuola, ai trasporti ecc. e ora anche sull'occupazione, pure quella farlocca tanto decantata dalla Meloni, che ha iniziato a diminuire.
L’altro ieri, l'Istat ha certificato il ventesimo mese di diminuzione della produzione industriale simboleggiato, non solo in Italia ma in Europa, dalla crisi dell'auto da Stellantis alla Volkswagen. Meno 4% solo nell'ultimo anno che segue al meno 2,5% del 2023. Inoltre si registra il fermo della crescita del Pil al più 0,4% sotto la media, per altro modestissima pari allo zero virgola, dell'Europa. E ancora non abbiamo assaggiato gli effetti della trumpnomics. L'unica produzione che cresce in Italia e in Europa è quella delle armi. Altro che crescita decantata nei suoi spot elettorali senza contraddittorio della Meloni, che aveva detto: “Il governo guarda al quadro economico con ottimismo".
Naturalmente, la risposta a questa situazione dovrebbe essere europea, mettendo in campo un gigantesco piano antiausterity di tipo keynesiano. Ma non è questa l'aria che tira in un Europa sull'orlo della sfaldamento nazionalista e sovranista.
Anche il piano proposto da Draghi, per reperire 800 miliardi di investimenti sul mercato con l'emissione di bond europei, è illusorio se non sta dentro una politica neokeynesiana che richiederebbe cambiamenti giganteschi sia nella governance europea, con il superamento dell'unanimità, sia nella politica economica e sociale: dalle politiche fiscali a quelle del lavoro, dall'ambiente all'immigrazione, dalla sanità al welfare. A rifiutare anche la draghiana prospettiva liberale per intanto sono i guardiani dell'austerità europea la cui "frugalità" è lontana mille miglia da ogni pur minima messa in discussione dell'austerity.
Penso che la sinistra progressista, pur ribattendo punto su punto a ogni provocazione della destra, dovrebbe rimettere continuamente al centro della polemica politica la questione sociale ed economica perché è lì che le contraddizioni della Meloni e di tutti i nazionalisti e sovranisti europei a favore di lorsignori hanno il loro tallone d'achille.
C'è qualcuno in giro tra i "maître à penser" nostrani per i quali l'elezione di Trump costringerà l'Europa a cambiare linea verso una maggiore unità. È molto più probabile, invece, che per ora lo sbrindellato residuo che ne rimane ne verrà definitivamente demolito.
Se non c'è un'autocritica profonda e un altrettanto profondo cambiamento della sinistra progressista continentale tutta, non ci sarà nessuna rinascita europeista.
Aldo Pirone
scrittore e editorialista
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