“Qualche elemosina fatta a un uomo nudo per le strade non basta ad adempiere gli obblighi dello Stato, il quale deve a tutti i cittadini la sussistenza assicurata, il nutrimento, un abbigliamento decente, e un genere di vita che non sia dannoso alla salute”.
Con queste parole de L’ésprit des lois, Montesquieu da un lato spingeva per la trasformazione della solidarietà da dovere morale a regola giuridica, dall’altro apriva la strada alla centralità di una legislazione fatta dall’uomo per l’uomo.
Da allora, per fortuna, di cammino ne è stato fatto tanto, fino all’invenzione, tutta europea, dello stato sociale, mirabile compromesso tra capitalismo e democrazia. Sennonché, in questi ultimi anni quasi tutte le “riforme” si sono accanite proprio contro le conquiste dello stato sociale, chiudendo ma anche, nello stesso tempo, riaprendo spazi a nuove e diverse forme di solidarietà.
La domanda cui cerca di rispondere Stefano Rodotà, nel suo ultimo libro (Solidarietà, un’utopia necessaria, editore Laterza) è proprio questa: “può la solidarietà sopravvivere nel tempo dell’individualizzazione crescente, della globalizzazione, della “morte del prossimo”?
C’è sicuramente un pericolo da cui guardarsi, ossia quello di ridurre la solidarietà a “prossimità”, trasformandola così in separazione, di fatto una solidarietà “oppositiva”, che abbraccia simili e vicini ma si arresta al comparire dell’altro. Viceversa, deve essere proprio la tensione verso l’inclusione a rendere oggi più che mai ineludibile il riferimento al principio di solidarietà, che in quella tensione trova ragion d’essere e legittimazione, per le indicazioni che essa esprime per ricostituire le condizioni dell’eguaglianza.
A differenza che in passato – allorché la classe operaia si pose, e poi raggiunse, l’obiettivo di tradurre la solidarietà in diritti sociali, progressivamente estesi a tutti – va però sottolineato che oggi, nello spazio globale, da un lato manca un soggetto che si incarichi di svolgere la stessa funzione, dall’altro vige un ordinamento dominato da soggetti transnazionali del tutto estranei, anzi ostili all’idea di solidarietà.
Ciò nonostante, nel mondo globale – come traspare da risoluzioni dell’Onu e da decisioni della Corte di giustizia dell’Unione europea – fortunatamente si generano conflitti fra diritti fondamentali e logica di mercato, da cui emerge un netto rigetto dell’idea di un mondo dominato dal potere incontrollato dei soggetti economici.
E’ proprio qui che può insediarsi l’azione dei soggetti solidali, distinti ma unificati da un saldo riferimento comune, ossia la lotta contro l’uso fortemente ideologico della crisi, col quale si è imposto un ridimensionamento complessivo della spesa sociale anche in situazioni in cui le ragioni economiche erano deboli o inconsistenti.
E’ evidente, perciò, che “un effettivo rafforzamento delle garanzie esige che nella sede costituzionale sia affrontato esplicitamente il rapporto tra risorse disponibili e diritti fondamentali”, magari stabilendo per legge la riserva di una quota di Pil alla spesa sociale.
A livello sovranazionale, come si è accennato, l’esistenza del conflitto fra logica di mercato e solidarietà esprime certamente una situazione fluida, ma apre anche spazi in cui la politica ben può inserirsi per svolgere un impegnativo compito di garanzia dei diritti.
Ovviamente, bisogna decidersi a svolgerlo.