Redazione
“La violenta e particolarmente vile aggressione - perpetrata in modo che nessuno potesse assistervi ed in una situazione che poneva l'aggredito in condizione di non potersi sottrarre ai colpi, tanto da presentare anche gli elementi materiali del sequestro di persona - nei confronti di un superiore gerarchico per ragioni lavorative è certamente circostanza idonea a comportare ripercussioni nell'ambiente lavorativo ed a minare radicalmente la fiducia del datore di lavoro nel proprio dipendente, che ha dimostrato di essere persona violenta e priva di autocontrollo, irrispettosa degli elementari valori di convivenza civile.
E' perciò pienamente ricorrente la giusta causa di licenziamento, per essere stati gravemente violati i doveri di fedeltà ed obbedienza del lavoratore, che per ragioni di lavoro ha aggredito e procurato lesioni ad un suo superiore ..
Le già evidenziate modalità del fatto, di particolare gravità perché contrarie a regole minime di comportamento civile ed integranti reato, comportano la sicura antigiuridicità del comportamento e sono tali da non consentire la prosecuzione, neppure temporanea del rapporto di lavoro. Il provvedimento espulsivo è pertanto pienamente proporzionato all'illecito disciplinare (illecito anche penale) contestato.
Ed infine: la violazione del vincolo fiduciario, che è stata indicata dal primo giudice come la giusta causa del recesso del datore di lavoro, è la conseguenza del fatto contestato al dipendente, e non integra una autonoma ragione del licenziamento”.
E’ questa la massima della sentenza n. 8351, della Suprema Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, depositata in cancelleria il 12 aprile 2011 (Pres. Foglia, Rel. Filabozzi), dalla quale si può evincere a chiare note che il ricorso alla violenza è atto di inciviltà, che in nessun caso può essere posto a base di rivendicazioni salariali e non.