Gli incarichi dei dirigenti pubblici, per quanto riguarda la pubblicazione dei redditi e delle situazioni patrimoniali, non sembrano equiparabili a quelli dei titolari di incarichi politici. E’ questo il dubbio espresso dal Tar Lazio, sez. I quater, che, con ordinanza 19 settembre 2017, n.9828, ha rinviato la questione all’esame della Corte Costituzionale, che dovrà decidere sulla legittimità o meno dell’art.14, comma 1 bis e comma 1 ter del Dlgs, n.33 del 2013.
La norma, in analogia a quanto stabilito per gli incarichi politici, prevede che le PA pubblichino sul sito web i dati dei titolari di incarichi dirigenziali, costituiti dalla situazione patrimoniale, dai compensi di qualsiasi natura connessi all’assunzione della carica, nonché dagli importi di viaggi di servizio e missioni pagati con fondi pubblici e, oltre a tutto questo, le dichiarazioni dei redditi e le situazioni patrimoniali del coniuge e dei parenti entro il 2° grado, ove gli stessi lo consentano, fermo restando che viene in ogni caso data evidenza alla mancata autorizzazione (sic!).
Premesso che i principi di proporzionalità, pertinenza e non eccedenza costituiscono il canone complessivo che governa l’equilibrio del rapporto tra esigenza, privata, di protezione dei dati personali, ed esigenza, pubblica, di trasparenza, il Tar ha ritenuto la disposizione normativa sopra illustrata violativa degli artt. 7, 8 e 52 della Dichiarazione dei diritti fondamentali dell’uomo, dell’art.6 del Trattato UE, dell’art.8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dell’art.6 della Direttiva 95/46/CE, dell’art.5 del Regolamento 2016/679, da applicarsi a decorrere dal 25 maggio 2018, nonché degli artt.117, 3, 13 e 2 Cost.
Nel contempo, il Tar ha sottolineato che la pubblicazione dei dati in questione presenta caratteristiche che “la rendono indubbiamente foriera di usi da parte del pubblico che possono trasmodare dalla finalità della trasparenza, sino a giungere alla messa a rischio della sicurezza degli interessati”.
Non resta ora, dunque, che attendere il responso della Consulta.