La Corte di Cassazione – Sezione Lavoro – con sentenza n.20234/2020, pubblicata il 25 settembre scorso, ha rigettato il ricorso proposto da un datore di lavoro avverso la decisione n.359/2018 della Corte d’Appello di Brescia, che aveva confermato l’illegittimità del licenziamento per giusta causa disposto dal medesimo datore di lavoro nei confronti di un dipendente portatore di handicap grave.
La controversia, giunta in ultima istanza all’esame degli Ermellini, era insorta a seguito della contestazione mossa dall’azienda al dipendente di aver utilizzato i permessi di cui al comma 6 dell’art. 33 della predetta legge 104/92 per finalità estranee a quelle connesse alla cura della sua condizione di invalido.
Il Tribunale, a seguito di ricorso proposto dal lavoratore, aveva dichiarato l’illegittimità del provvedimento espulsivo, disponendo la reintegra del medesimo nel posto di lavoro.
Tale decisione veniva confermata dalla Corte di Appello con la sentenza dianzi indicata, oggetto di ricorso in Cassazione per violazione e falsa applicazione degli artt. 33, commi 3 e 6, della legge n.104 del 1992, avendo, la Corte territoriale ritenuto che l'utilizzo dei permessi da parte del lavoratore disabile (2 ore al giorno o 3 giorni al mese) non è vincolato necessariamente allo svolgimento di visite mediche o di altri interventi di cura, mentre, secondo il ricorrente, la disposizione andava interpretata nel senso che il disabile può fruire dei permessi esclusivamente per scopi collegati direttamente e/o indirettamente all'esigenza di tutela e/o cura e/o assistenza, e non certamente per finalità ricreative e/o personali.
La prospettazione di parte ricorrente non è stata condivisa dai Giudici della Suprema Corte, secondo la quale “se, il diritto di fruire dei permessi da parte del familiare (art. 33, legge 104, co. 3, ndr) si pone in relazione diretta con l'assistenza al disabile, il medesimo diritto riconosciuto al portatore di handicap (art. 33, co. 6, ndr) si integra nell'ambito della complessiva ratio della normativa in esame, che è quella di garantire alla persona disabile l'assistenza e l'integrazione sociale necessaria a ridurre l'impatto negativo della grave disabilità. L'utilizzo dei permessi da parte del lavoratore portatore di handicap grave è, dunque, finalizzato a agevolare l'integrazione nella famiglia e nella società, integrazione che può essere compromessa da ritmi lavorativi che non considerino le condizioni svantaggiate sopportate”.
In conclusione, i Giudici della Cassazione hanno enunciato il seguente principio di diritto: “i permessi ex art. 33, comma 6, della legge n. 104 del 1992 sono riconosciuti al lavoratore portatore di handicap in ragione della necessità di una più agevole integrazione familiare e sociale, senza che la fruizione del beneficio debba essere necessariamente diretto alle esigenze di cura”.