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Sabato, 13 Dic 2025

Lo spettro della deflazione, che ha tolto il sonno a qualcuno ma ha salvaguardato il portafoglio degli italiani, sembra essersi allontanato.

Prima ancora dell’Istat, se ne sono accorti gli automobilisti che, nelle ultime settimane, stanno riscontrando un rincaro dei carburanti.

L’inflazione di 1% a gennaio e di 1,5% a febbraio è in buona parte dovuta al rimbalzo del prezzo del petrolio, che 12 mesi fa aveva toccato livelli storicamente bassi, inferiori ai 30 dollari al barile.

L’impennata dei prezzi ha riguardato anche i prodotti alimentari freschi, soprattutto in conseguenza dell’ondata straordinaria di maltempo che si è abbattuta sull’Italia a metà gennaio.

Secondo le rilevazioni ufficiali, tra dicembre e gennaio il prezzo delle zucchine è cresciuto del 34,3% e aumenti superiori al 20% si sono avuti per fagiolini, piselli, melanzane, cavoli broccoli e finocchi. Tra la frutta - per qualche stravaganza statistica - si segnalano rincari dell’1% anche per prodotti non propriamente di stagione, come i cocomeri, le ciliegie, le pesche, le albicocche e le susine.

Nei giorni scorsi, il presidente della Federazione dei dettaglianti di Udine ha puntato il dito contro l’Istat per aver enfatizzato con un mese di ritardo gli aumenti dei prezzi che si sono avuti nel comparto ortofrutticolo, ingenerando falsi timori tra i consumatori.

I dati provvisori di febbraio mostrano, però, che il caro-verdura non si è arrestato, facendo registrare un aumento mensile dei prezzi del 12,5% e annuale del 37,3%.

Se nei prossimi mesi l’inflazione si consolidasse a valori prossimi o superiori al 2%, quale ne sia la causa, per l’asfittica economia italiana inizierebbero a crearsi seri problemi di tenuta.

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