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Mercoledì, 24 Lug 2024

Non si può parlare di mobbing se il datore di lavoro lascia un dipendente completamente senza lavoro.

La conferma di quanto stabilito dalla Corte d’Appello di Messina nel 2011 è giunta dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 27444/2017, pubblicata il 20 novembre 2017.

I giudici della Suprema Corte, nel respingere il ricorso proposto dal dipendente pubblico “estromesso” da ogni e qualsiasi attività lavorativa, pur continuando a percepire un regolare stipendio, ha ribadito quanto già affermato in precedenti decisioni e cioè che, ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro rilevano i seguenti elementi, il cui accertamento costituisce un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se logicamente e congruamente motivato: a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio - illeciti o anche leciti se considerati singolarmente - che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi; b) l'evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente; c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità; d) l'elemento soggettivo, cioè l'intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi.

"Elementi questi - puntualizza la Cassazione - che il lavoratore ha l'onere di provare (ma che, nel caso di specie, non ha dimostrato, ndr), in applicazione del principio generale di cui all'art. 2697 cod. civ., e che implicano la necessità di una valutazione rigorosa della sistematicità della condotta e della sussistenza dell'intento emulativo o persecutorio che deve sorreggerla.

Questa decisione che, come tutte le sentenze, va rispettata, ci induce a fare una semplice domanda a chi di dovere: pagare mensilmente uno stipendio a un dipendente pubblico senza richiedere allo stesso alcuna prestazione lavorativa rappresenta o no un palese danno erariale?

Se, come crediamo, la risposta è sì, chi deve sollecitare l’intervento della Corte dei conti affinché i responsabili vengano chiamati a risarcire il danno arrecato alle pubbliche finanze?

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