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Sabato, 20 Apr 2024

Dopo il “vorrei ma non posso”, andato in scena per quasi due mesi, il governo alla fine ha trovato pochi spicci per cercare di tacitare le proteste del mondo accademico, che non ha mandato giù l’inopinato blocco (senza nessuna possibilità di recupero giuridico) degli scatti stipendiali triennali protrattosi dal 2011 al 2015.

Per trovare traccia della “generosa” elargizione bisogna cercare tra i 1.181 commi dell’articolo 1 della legge di stabilità 27 dicembre 2017, n. 205.

Al 629° comma, primo, secondo e terzo periodo, infatti, si legge quanto segue.

Con decorrenza dalla classe stipendiale successiva a quella triennale in corso di maturazione al 31 dicembre 2017 e conseguente effetto economico a decorrere dall'anno 2020, il regime della progressione stipendiale triennale per classi dei professori e ricercatori universitari previsto dagli articoli 6, comma 14, e 8 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, e disciplinato dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 15 dicembre 2011, n. 232, è trasformato in regime di progressione biennale per classi, utilizzando gli stessi importi definiti per ciascuna classe dallo stesso decreto.

A titolo di parziale compensazione del blocco degli scatti stipendiali disposto per il quinquennio 2011-2015 dall'articolo 9, comma 21, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, ai professori e ricercatori universitari di ruolo in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge e che lo erano alla data del 1° gennaio 2011, o che hanno preso servizio tra il 1° gennaio 2011 e il 31 dicembre 2015, è attribuito una tantum un importo ad personam in relazione alla classe stipendiale che avrebbero potuto maturare nel predetto quinquennio e in proporzione all'entità del blocco stipendiale che hanno subito, calcolato, nei limiti delle risorse di cui al presente comma, sulla base di criteri e modalità definiti con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.

La corresponsione dell'importo di cui al periodo precedente cessa al 31 dicembre 2019 e non produce effetti ai fini della successiva progressione di carriera; l'importo è corrisposto in due rate da erogare entro il 28 febbraio 2018 ed entro il 28 febbraio 2019.

Al fine di sostenere i bilanci delle università per la corresponsione dei predetti importi, il fondo per il finanziamento ordinario delle università di cui all'articolo 5, comma 1, lettera a), della legge 24 dicembre 1993, n. 537, è incrementato di 50 milioni di euro per l'anno 2018 e di 40 milioni di euro per l'anno 2019. Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione, per gli anni 2018 e 2019, del Fondo di cui all'articolo 1, comma 207, della legge 28 dicembre 2015, n. 208”.

Si tratta di un provvedimento del tutto insoddisfacente per i circa 40 mila interessati ancorché ingiustificatamente discriminatorio nei confronti di docenti e ricercatori che, pur avendo subito gli effetti del blocco, alla data di entrata in vigore della predetta legge n. 205 (1° gennaio 2018), non risultavano più in servizio.

Lo stanziamento complessivo (50 milioni per il 2018 e 40 per il 2019), che verrà prelevato dal contestato Fondo per le cattedre Natta, infatti, permetterà di elargire sotto forma di una tantum un importo complessivo medio lordo pro capite di circa 2.250 euro, pari a circa 1.550 euro netti, da erogare in due rate: la prima (nel 2018) di 850 euro e la seconda (nel 2019), di 700.

Per il calcolo degli importi ad personam, invece, non solo si dovrà tenere conto della classe stipendiale che i docenti avrebbero potuto maturare durante la vigenza del blocco e dell’ammontare del blocco stipendiale che hanno subito, ma sarà necessario anche attendere che la ministra Fedeli fissi criteri e modalità, con un decreto da adottare entro il 30 gennaio prossimo. Termine che, come noto, non è perentorio ma solo ordinatorio!

Che dire!?! Per come è andata a finire, nemmeno possiamo parlare di pecunia doloris, visto che qui non c'è traccia di qualsivoglia valutazione equitativa. L'accostamento possibile semmai è con l'argent de poche, il denaro spicciolo, destinato alle piccole spese. Sì, perché, a conti fatti, il governo ha solo deciso di pagare un espresso, manco la colazione intera, perché 5 anni di blocco, pari a 1.825 giorni, saranno liquidati in media con 1.550 euro netti: 85 centesimi al giorno. Ecco appunto, il costo di una tazzina di caffè!

Di certo, con questi soldi, i tanti docenti fuori sede non recuperano nemmeno l'aumento dei pedaggi autostradali, di cui poco si parla, tutti presi come siamo dall'angoscia di pagare i sacchetti di plastica della spesa. Per ironia della sorte, mentre va in scena questa penosa pièce teatrale, che fa il paio con quella degli arretrati per il pubblico impiego, è arrivata la notizia che è saltato il tetto (durato 3 anni) agli stipendi dei dipendenti delle Camere, che notoriamente godono di trattamenti da sogno, ormai sempre più difficili da giustificare col solo ricorso alla fictio iuris dell'autonomia.

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