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Venerdì, 03 Mag 2024

Rachel di Roger Michell, con Rachel Weisz, Sam Claflin, Holliday Grainger, Iain Glen, Pierfrancesco Favino, Poppy Lee Friar, Simon Russell Beale, Andrew Knott, Tim Barlow, Andrew Havill, Bobby Scott Freeman, durata 106’, nelle sale dal 15 marzo, distribuito da 20th Century Fox.

Recensione di Luca Marchetti

Dopo un’onorata carriera tra commedie romantiche e drammi borghesi, Roger Michell (regista del successo Notting Hill) torna con Rachel al film in costume, portando sul grande schermo il romanzo Mia cugina Rachele, della scrittrice e poetessa Daphne du Maurier, autrice cara ad Alfred Hitchcock (suoi i romanzi che ispirarono Rebecca, la prima moglie e Gli uccelli).

Già portata al cinema nel 1952 da Henry Koster, con la leggendaria Olivia de Havilland e un giovane esordiente Richard Burton nei ruoli dei protagonisti, la storia di Rachel e del suo sofferente cugino Philip è una vicenda torbida che fluttua tra il melò classico, il gotico e il thriller psicologico, in una ricetta narrativa che, nel bene e nel male, ha condizionato il cinema anglosassone di costume negli ultimi cinquant’anni. Se l’adattamento del ’52, anche per i grandi nomi coinvolti, è un classico da riscoprire, la nuova trasposizione di Michell punta a cavalcare la moda dei revival ottocenteschi, utili per trasformare, e legittimare, giovani divi come il nuovo protagonista Sam Claflin in veri e propri eroi maledetti.

La trama del film vede, dunque, il borghese Philip rimanere travolto dall’incontro con l’ambigua Rachel, vedova del suo amato cugino-tutore. Immerso in un vortice di emozioni, il rancore e la rabbia del giovane (convinto che la donna sia coinvolta nella dipartita del parente) si mutano presto in un cocente desiderio che, tra sospetto e passione, lo porterà ad un passo dalla follia.

La discesa di Philip nel dubbio e nell’ossessione, purtroppo, sotto la penna e lo sguardo di Michell, perde il fascino torbido del suo precedente cinematografico, diventando solo un’isterica lotta tra due personaggi ultra-caratterizzati. Il bel Sam Claflin, alle prese con vari tentativi di dare una svolta adulta alla propria carriera dopo il successo della saga di Hunger Games, mette tutto se stesso nel tentativo di dare credibilità e spessore umano al suo personaggio. Se è ingiusto imbastire paragoni con il Burton del film originale, non possiamo non sottolineare la fatica con cui l’attore inglese prova a sembrare maturo, adatto alla prova, riuscendo più che altro ad essere, nei momenti migliori, solo stonato.

Altra caratura artistica, invece, è quella della splendida Rachel Weisz. La sua Rachel è una donna profonda, misteriosa e straniante. Anche se il suo personaggio è scritto toccando tutti gli stereotipi del genere per sembrare, da subito, il modello della perfetta femme fatale, l’attrice mette nel ruolo la sua bravura per non rendere mai scontato nessun gesto, nessun dialogo. Nonostante i suoi sforzi, però, la sua donna del mistero rimane un problema irrisolto, non solo per meri motivi narrativi. Il suo potenziale inespresso (oltre allo spaesamento di Philip/Claflin) è il simbolo più chiaro di un film, e di un regista, in bilico tra l’omaggio pedissequo al passato classico e una volontà postmoderna di rivitalizzare il canone letterario.

Gli effetti indesiderati di questa incertezza programmatica e la noia sfiancante che provoca la visione sono, alla fine, le uniche cose che ci lascia Rachel, opera insoluta e stancamente banale.

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Critico cinematografico

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