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Giovedì, 18 Apr 2024

Talvolta le persone dimenticano la loro storia di vita anche se la sbandierano ad ogni occasione, questo potrebbe essere l’incipit della storia che vi stiamo per raccontare.

È dal 17 gennaio 2009 che gli agricoltori italiani chiedono una legge che riconosca la figura del contadino. In quella data, prese l’avvio la “Campagna popolare per il riconoscimento dei contadini e per liberare il loro lavoro dalla burocrazia”, inizialmente promossa dalle organizzazioni Associazione Antica Terra Gentile (Lessinia), Associazione nazionale Civiltà Contadina, Associazione Consorzio della Quarantina (Liguria), Rete Corrispondenze Informazioni Rurali, Rete Bioregionale Italiana, sostenute dal collettivo Critical Wine di Genova e Rete Ruralpina.

Il contadino è soggetto ben diverso dall’imprenditore agricolo perché, scrivevano le suddette associazioni: “un'altra agricoltura, sopravvive, nascosta più di quanto sia residuale, ancora straordinariamente diffusa in Italia e popolare, anche se non se ne parla e, apparentemente, non fa i grandi numeri dell'economia… più vicina al lavoro delle persone e alla cultura delle comunità, ai bisogni più elementari e a un'economia ciclica – praticata – per professione o passione o necessità” - da chi innanzitutto produce per il consumo familiare e poi anche per vendere sul mercato. Un'agricoltura "che coltiva prodotti, non contributi" e che "mantiene in vita sementi, esperienze, consuetudini, l'humus della terra e le falde dell'acqua". Un’agricoltura di basso o nessun impatto ambientale, fondata su scelte di vita legate a "valori di benessere, ecologia, giustizia e solidarietà”. In altri termini, "l'agricoltura dei contadini che non sono imprenditori e tanto meno industriali” e che, seppure estremamente diffusa, resta "quasi invisibile allo sguardo della legge che non la riconosce come costituzionalmente diversa dall'altra (e perfino opposta, negli effetti) e non ne sa ascoltare la voce”.

Il riconoscimento di tali specificità sociali e produttive comporterebbe regimi fiscali, tributari e burocratici calibrati a tale figura sociale e a questo modello di agricoltura.

Ma man mano che andavano raccogliendo le firme per la loro petizione, promotori e sostenitori crebbero, tanto che si riuscì ad avere i primi contatti col dicastero dell’agricoltura, al tempo era ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali Luca Zaia. E così nel 2010 (non sappiamo se ancora titolare del Mipaaf fosse l’agronomo Zaia o Giancarlo Galan) venne elaborata una prima proposta di legge sulla base dei contenuti della petizione ma, caduto il governo nel 2011, non se ne fece più nulla.

Dopo tre governi (Berlusconi, Monti, Letta) e altrettanti ministri (Francesco Saverio Romano, Marco Catania e Nunzia De Giorolamo), gli stremati promotori della petizione portarono le loro richieste in Parlamento dove, il 10 ottobre 2013, si pervenne alla presentazione delle nuove Linee Guida per una legge quadro sulle agricolture contadine.

Il 2014 viene proclamato dall’Onu Anno Internazionale dell'agricoltura familiare e contadina (poiché essa è predominante nel mondo, garantendo più dell'80% degli alimenti consumati dalla popolazione mondiale) e ciò contribuì anche in Italia a riaccendere l’attenzione sulle rivendicazioni portate avanti dalla Campagna Popolare per l'Agricoltura Contadina.

Le iniziative si moltiplicarono e si avviò un dialogo con le Commissioni Agricoltura della Camera dei Deputati e del Senato. Più parlamentari appartenenti a vari schieramenti politici contattarono le organizzazioni promotrici della Campagna. Un’attenzione favorita anche dall’avvio del processo di Riforma della Politica Agricola Europea (PAC). E così, tra il 2014 e il 2015 vennero presentati ben quattro progetti di legge volti al riconoscimento, completo o parziale, della tutela delle agricolture contadine italiane.

La prima proposta, Legge quadro sull’agricoltura contadina, che ricalcava fedelmente le linee guida proposte dalla Campagna, venne presentata nel gennaio 2014 dal deputato Adriano Zaccagnini, del Movimento 5 Stelle (poi passato a Sel); seguita da quella del deputato Paolo Parentela, sempre M5S, Interventi per il sostegno e la promozione delle agricolture contadine. Seguì, nel 2015, la proposta della Democratica Susanna Cenni Norme per la tutela della terra, il recupero e la valorizzazione dei terreni agricoli abbandonati e il sostegno delle attività agricole contadine. Infine, venne depositato un progetto di legge, promosso dal Deputato Manfred Schullian, del Südtiroler Volkspartei, dal titolo Disposizioni per l’individuazione, il recupero e l’utilizzazione dei terreni agricoli abbandonati e interventi in favore dell’agricoltura e delle aree montane".

Proposte che, con il consenso dei proponenti, vennero accorpate, pur prevedendo diverse forme di gestione e diverse agevolazioni. Tuttavia, il disegno di legge Zaccagnini risultò arricchito dalle misure previste dalle proposte di Parentela (relative alla promozione dell'accesso alla terra e di difesa dai processi di privatizzazione delle terre demaniali e di land grabbing, anche come strategia per frenare lo spopolamento delle aree interne e produrre occupazione) e Cenni (che richiedeva forme di agricoltura non intensive, sostenibilità delle pratiche, possibilità di acquisto collettivo dei mezzi di produzione e scambio di manodopera), ma anche dalla proposta Schullian, che poneva l’attenzione sui terreni agricoli abbandonati nelle aree montane.

Nel frattempo, il ministro dell’epoca, Maurizio Martina (Pd), adottò qualche provvedimento per il recupero delle terre incolte e per finanziare i giovani che volessero aprire nuove aziende agricole, ma si arrivò alla nuova tornata elettorale senza una legge che definisse lo status del piccolo coltivatore.

Anche in questa legislatura sono state presentate, da parte di Pd, M5s e Leu, tre diverse proposte sul tema che, più o meno, danno soddisfazione alle richieste del movimento contadino. Esse sono:

1) Norme per la tutela della terra, il recupero e la valorizzazione dei terreni agricoli abbandonati e il sostegno delle attività agricole contadine nonché istituzione della Giornata nazionale dedicata alla cultura del mondo contadino e della Rete, a firma dei democratici: Cenni, Incerti, Bossio, Ciampi, De Menech, Melilli, Pezzopane, Rossi, Sensi;

2) Disposizioni in materia di agricoltura contadina, a firma dei pentastellati: Cunial, Benedetti, Giannone, Vizzini;

3) Disposizioni per la tutela e la valorizzazione dell’agricoltura contadina, a firma della sinistra: Fornaro, Bersani, Rostan, Speranza, Stumpo.

Ora, a distanza di tre anni dall’inizio della legislatura, ancora non c’è una legge che riconosca la figura del contadino; si assiste a continui rimandi ed al tentativo di alcune forze politiche di stravolgere la natura delle proposte presentate, rischiando di ridurle ad una mera operazione d’immagine.

E dire che, per la prima volta, abbiamo avuto una ministra dell’agricoltura che dall’età di 14 anni ha fatto la bracciante: Teresa Bellanova. A vederla con i suoi abiti sartoriali, ce ne eravamo scordati - un po’ anche perché non abbiamo percepito una rivalutazione del comparto agricolo durante il suo mandato, tutt’altro, e neppure abbiamo visto la sua firma sulle proposte di legge summenzionate.

D’altronde, neanche nelle precedenti tre legislature, in cui era stata eletta, la Bellanova aveva presentato proposte di legge sul settore, ma solo come cofirmataria quelle (alquanto dannose per l’ambiente) sulle biomasse ed i biocarburanti, sulle proteine vegetali e una sulla biodiversità. Eppure, a ricordarci più volte, in maniera quasi martellante, le origini della ex ministra dell’agricoltura ci ha pensato il leader del suo partito, Italia viva, sottolineando il “sacrificio” della stessa Bellanova che, pur di salvare la patria dal vulnus democratico rappresentato dal governo Conte, di cui pure faceva parte, si era dimessa.

Fatto sta che a tutt’oggi in Italia, ma neppure in Europa, la figura del contadino che coltiva un piccolo appezzamento, giuridicamente non esiste; la legislazione vigente parla solo dell’imprenditore agricolo. In pratica, che si possegga un’impresa con un’estensione di migliaia di ettari o una di qualche ettaro, che si abbia un reddito prossimo alla sussistenza o di decine di migliaia di euro, che la terra sia di proprietà o in affitto, per il nostro legislatore non fa differenza!.

Eppure, stiamo parlando di una situazione in cui si trovano nel nostro paese 1milione e 500mila soggetti. Dall’ultimo censimento delle aziende agricole in Italia, in base alla dimensione economica è emerso che le aziende con un reddito lordo inferiore a 10.000 euro erano 1.086.000, pari al 67 per cento; le aziende intermedie (reddito lordo tra 10.000 e 20.000 euro) erano 225.000, pari al 14 per cento, e le imprese con reddito lordo oltre 20.000 euro erano 310.000, pari al 19 per cento (di cui il 70 per cento con reddito lordo inferiore a 100.000 euro e il 30 per cento con reddito lordo superiore a 100.000 euro).

L’agricoltura di piccola scala, dimensionata sul lavoro contadino e sull’economia familiare, orientata all’autoconsumo e alla vendita diretta del prodotto al consumatore, di basso o nessun impatto ambientale, fondata su una scelta di vita legata a valori di benessere, ecologia, giustizia e solidarietà più che a fini di arricchimento e profitto, indispensabile non solo per mantenere fertile e curata la terra ma anche per salvaguardare quella varietà di paesaggi che rende bella l’Italia e la biodiversità, per tramandare prodotti tipici, saperi e tecniche, resta quasi invisibile per i grandi numeri dell’economia e per la legislazione italiana ed europea.

Le norme attuali non tengono conto delle differenze di reddito né della superficie coltivata - sono standardizzate - e vengono imposte indistintamente a tutti i contadini. Per questo, i piccoli coltivatori chiedono l’istituzione di un albo specifico delle aziende contadine, dove possano liberamente iscriversi tutti quelli che si riconoscono in questo modello lavorativo, in modo da garantire massima trasparenza. Una volta individuate queste realtà, la legge dovrebbe destinare specifiche norme a queste forme di agricoltura sostenibile e dare dignità al lavoro.

È di questi giorni una Lettera aperta a Contadini e Contadine d’Italia, delle ormai numerosissime associazioni che sostengono la Campagna per il riconoscimento dei contadini, per sensibilizzare, oltre che il sordo legislatore, l’opinione pubblica sulla situazione in cui versa quella parte della nostra agricoltura fondamentale per rendere possibile sia la sovranità alimentare delle comunità rurali, sia la persistenza dei sistemi alimentari di fronte, tra l’altro, alla crisi climatica di cui tanto si parla a livello governativo. Un’agricoltura essenziale per il ripopolamento di zone marginali e interne, che potrebbe avere un ruolo fondamentale nella manutenzione ai fini della sicurezza idrogeologica del territorio e per la salvaguardia dell’ambiente.

In questi ultimi anni, diverse regioni hanno emanato norme per differenziare le aziende contadine dalle imprese agricole di maggiori dimensioni, ma occorre una specifica legge nazionale che tenga conto delle peculiarità di una realtà ben diversa dalle grandi imprese agroindustriali.

Gli estensori della lettera ci tengono a sottolineare che loro intendono la vita contadina “non solo come un’attività economica ma come uno stile di vita, con la dignità umana che ciò comporta. Ed è una scelta di vita, perché oggi fare agricoltura come noi la intendiamo e non secondo un modello agroindustriale non può essere che una scelta, perché, altrimenti, tutto ci spingerebbe a cercarci un altro modo per avere un reddito di lavoro. Tutti insieme condividiamo questo modo di coltivare e/o di allevare gli animali: un modo rispettoso, sostenibile, equilibrato, lungimirante di produrre cibo ed interagire con gli ecosistemi; un’agricoltura basata sul lavoro competente anziché sul capitale, sulla manualità attenta più che sulla meccanizzazione, sulla pluricoltura e la diversificazione e non sulle monocolture, sul mantenimento della salute del suolo e non sulla chimica di sintesi; un’agricoltura più lenta, forse, a dar profitti, ma che ha un futuro e che permette a tutti e tutte di averlo. E con la quale l’azienda che lavora ha anch’essa un futuro, perché si regge in gran parte sulle proprie gambe: vi siete mai chiesti quanto è sano e sicuro per le attività di cui viviamo dipendere completamente dai sostegni della PAC, dal valore che grossisti e grande distribuzione impongono ai nostri prodotti, dalla volatilità dei prezzi sui mercati globalizzati sottoposti alle speculazioni finanziarie?”.

Un’agricoltura che poco può contare sulla Politica agricola comune (PAC) e sui finanziamenti che essa prevede, basati prevalentemente sulla superficie aziendale. Finanziamenti premiali per la grande proprietà fondiaria, un incentivo alla concentrazione. Politiche che non difendono dai prezzi capestro offerti dalla grande distribuzione.

Ai piccoli produttori sono destinati poco più di mille euro l’anno di finanziamenti europei e, come se ciò non bastasse, anno dopo anno le normative vigenti e l’interpretazione dei regolamenti europei, concepiti a misura delle industrie agroalimentari di grandi dimensioni, hanno di fatto reso illegale l’attività di trasformazione e vendita dei propri prodotti direttamente al consumatore finale. Inoltre, in assenza di una legge specifica, le questioni che restano irrisolte sono innumerevoli: dal riconoscimento dei diritti collettivi sulle sementi autoprodotte, il loro libero scambio e la loro libera vendita tra contadini; alla libertà di scambio del lavoro amicale; al ripristino del diritto a fare i lavori edili in economia sui propri edifici rurali; a un regime specifico in materia fiscale e previdenziale; a regole ad hoc sull’ospitalità e la ristorazione rurale; al recupero dei terreni abbandonati.

Il risultato è che queste piccole aziende, pur producendo circa un terzo del valore totale dell’agricoltura italiana, non riescono neppure a remunerare un addetto a tempo pieno.

L’approvazione di una legge quadro nazionale che riconosca e regolamenti in modo adeguato l’agricoltura contadina è ormai una questione di equità, tant’è che Campagna Popolare per una legge che riconosca l’Agricoltura Contadina ormai vede unite tutte le associazioni che tutelano i diritti dei contadini italiani, e fa parte di un network mondiale che coinvolge realtà presenti in tutti in continenti.

Nel mondo, i piccoli produttori rappresentano, in media, il 70% della produzione agricola; percentuale che aumenta a oltre l’80% nei Paesi in via di sviluppo. Dati di cui ha tenuto conto l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che, nel dicembre 2018, ha approvato la Dichiarazione per i diritti dei contadini e dei lavoratori in contesto rurale, che mette in evidenza il diritto alla terra, alle sementi e alla biodiversità, oltre a diversi diritti collettivi legati alla sovranità alimentare.

Neppure l’approvazione di tale Dichiarazione ha smosso il nostro legislatore né, tantomeno, i ministri dell’agricoltura succedutisi dalla sua approvazione: Centinaio e Bellanova.

Nell’articolo 1 della dichiarazione dell’Onu “si definisce come contadino una persona qualsiasi che esercita, o mira a esercitare da solo o in associazione con altri o come comunità, attività di piccola produzione agricola, di sussistenza e/o per il mercato, e che si affida significativamente, per quanto non necessariamente in modo esclusivo, al lavoro familiare e ad altri modi non monetizzati di organizzare il lavoro, e che dipende in maniera particolare dalla terra ed è attaccata ad essa.. La presente Dichiarazione si applica inoltre ai lavoratori assunti, inclusi tutti i lavoratori migranti indipendentemente dal loro status migratorio, e i lavoratori stagionali”.

La Dichiarazione afferma che l’accesso alla terra, all’acqua, ai semi e ad altre risorse naturali è una sfida crescente per la popolazione rurale, e sottolinea l’importanza di migliorare l’accesso alle risorse produttive e agli investimenti nel quadro di un corretto sviluppo rurale.

Quanto ai migranti ed ai braccianti che lavorano nelle aziende agricole, nella Dichiarazione per i diritti dei contadini e dei lavoratori in contesto rurale si chiede una retribuzione adeguata, accesso a sanità e previdenza, condizioni abitative adeguate, lavoro in sicurezza, formazione e lotta a forme di schiavismo e lavoro minorile. Forse sarà per questo che ad oggi, nonostante essa sia stata approvata dal rappresentante dell’Italia presso l’Onu, non è stata recepita nella legislazione nazionale.

Una circostanza tanto più grave se titolare del ministero delle politiche agricole fino a qualche giorno è sta una persona che dovrebbe aver vissuto sulla propria pelle e combattuto lo sfruttamento e lo schiavismo prodotti dal caporalato.

Adriana Spera
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