Il problema, sembra di capire leggendo l’ultimo Bollettino della Bis dedicato al rischio inflazione, è quanto sarà persistente l’ondata di rincari che ha riportato gli indici “che non si vedevano da decenni”. Perché proprio la durata delle tensioni metterà alla prova la robustezza del tessuto istituzionale che in questi decenni, anche grazie alla collaborazione di alcuni trend – uno per tutti quello dell’espansione della globalizzazione -, ha consentito di godere di prezzi bassi e stabili. Un andamento che ha consentito ai banchieri centrali di esercitarsi in notevoli innovazioni di politica monetaria quando è sorta la necessità di allargare il credito per rianimare l’economia.
Un mondo che adesso scricchiola pericolosamente. Il binomio pandemia&guerra non ha soltanto creato uno stress notevolissimo sulle curve di domanda (prima) e di offerta (dopo), ha pure questionato – e la durata della guerra non fa che rafforzare i dubbi – la sostenibilità dell’attuale modello di globalizzazione, che già adesso si vuole diversa, a cominciare proprio da quei paesi avanzati che pure l’hanno sostenuta e diffusa.
Ma questi sono temi di lungo periodo. Il problema è capire innanzitutto come reagiranno le società più avanzate a questo inaspettato e sorprendente movimento dei prezzi, che fa tornare d’attualità idee che sembravano ormai consegnate alla storia. Quella di un mutamento dei regimi istituzionali, che conduca ad “indicizzazioni automatiche e clausole di aggiustamento al costo della vita”, come mostra di temere il Bollettino. Perché quello potrebbe rappresentare il calcio d’inizio della temutissima spirale prezzi/salari che ogni banchiere centrale frequenta nei suoi incubi.
Un rischio che al momento però sembra contenuto. Al momento, infatti, il quadro della situazione salariale non fornisce orientamenti univoci. Si è osservato un notevole aumento delle retribuzioni negli Stati Uniti, mentre rimangono contenute negli altri paesi avanzati, forse anche grazie ai meccanismi che intanto sono stati incorporati nella dinamica delle retribuzioni. Pure se alcuni segmenti hanno mostrato tendenze al rialzo.
Il problema rimane però. L’analisi dei comportamenti pregressi rimane poco informativa, perché sono passati troppi anni da quando i lavoratori facevano la voce grossa o le imprese aumentavano i prezzi rapidamente per difendere i propri margini. La nostra memoria breve, insomma, non ci fornisce dati sufficienti per le predizioni. Quindi rimane solo la cara vecchia logica, che suggerisce come la pazienza di lavoratori e imprese possa durare in ragione inversa al proseguire dei rincari, ma non ci dice né come né quanto.
Maurizio Sgroi
giornalista socioeconomico
Twitter @maitre_a_panZer