Il 3 novembre del 2016, discussi con Giovanni Minoli, durante una trasmissione di Radio 24, sui terremoti che avevano colpito l'Appennino Centrale, da quello del 24 agosto ad Amatrice in poi.
In particolare, Minoli mi chiese se, a mio avviso, si poteva ricostruire esattamente negli stessi luoghi.
Risposi di no, perché l'effetto di sito aveva avuto un ruolo determinante nella devastazione prodotta dal primo terremoto, ulteriormente ampliata poi dalle scosse successive.
Con il termine "effetto di sito" si intende ricordare che le particolari caratteristiche meccaniche del suolo possono notevolmente aggravare la sollecitazione sismica sugli edifici che vi affondano le loro fondamenta fino a farli crollare.
Dissi che, escludendo le costruzioni di valore artistico da conservare e rafforzare, nella maggior parte dei casi la cosa migliore da fare è demolire e ricostruire con le moderne tecniche antisismiche in zone preventivamente studiate per evitare l'amplificazione della perturbazione sismica.
Forse così si perde il piacere e il gusto del borgo antico ma si guadagna enormemente in efficienza e sicurezza. Non è poi detto che costruzioni nuove siano necessariamente sgradevoli da vedere.
Voler ricostruire tutto esattamente come prima e dove era prima, implica costi molto più elevati e, soprattutto, tempi che si possono dilatare per decenni.
Più tardi Minoli consultò l'architetto Fuksas, per avere la sua opinione sulle mie affermazioni. Fuksas definì falso quanto da me dichiarato e disse che tutto può, anzi, deve essere ricostruito esattamente come prima. Eppure, edifici ristrutturati in maniera antisismica come e dove erano prima di terremoti precedenti, sono stati fortemente danneggiati se non distrutti dalle scosse iniziate il 24 agosto. Prima di fare affermazioni generiche sul come si può e si deve ricostruire, sarebbe quindi bene andare a vedere e analizzare con cura i luoghi ove si intende farlo. Ed avere serie e verificabili competenze di ingegneria sismica. Purtroppo, dopo un terremoto tutti diventano esperti, pur di apparire.
Nella trasmissione di "FACCIAaFACCIA" del 6 novembre scorso, Minoli intervistò Matteo Renzi, allora Presidente del Consiglio e, citandomi (vedere il filmato dal minuto 8:40 al minuto 9:20), gli pose la stessa domanda. Il Presidente, pur manifestandomi stima, dichiarò, in modo netto, che tutto verrà ricostruito esattamente dove e come era prima.
Pur grato della stima del Presidente, resto fermamente della mia opinione. Almeno le scuole in zona sismica - se non si è più che sicuri della loro tenuta o se sono state anche solo parzialmente danneggiate da qualche terremoto, recente o passato - si demoliscano e si ricostruiscano nel luogo più adatto, con tutti i possibili criteri di sicurezza. Lo stesso vale ovviamente per gli ospedali e altri edifici strategici, dai quali non si dovrebbe neanche immaginare di scappare.
Sono passati circa nove mesi dal terremoto di Amatrice e otto da quelle impegnative dichiarazioni.
Abbiamo assistito a numerose "passerelle" di importanti politici che, a favore di telecamera, hanno continuato a dichiarare "Non vi lasceremo soli … non vi dimenticheremo ... costruiremo centinaia e centinaia di casette di legno ... costruiremo stalle provvisorie ... tornerà tutto come prima ...".
Purtroppo, nessun politico sembra aver capito che il terremoto è il nostro principale problema nazionale. Dal 1600 ad oggi si sono verificati in Italia circa 200 sismi di magnitudo uguale o superiore a 5.5, sempre con vittime e danni. In media uno ogni due anni, con effetti economici devastanti. Si è mai chiesto qualcuno che percentuale del nostro enorme debito pubblico è ascrivibile ai terremoti?
In questi giorni, i tanti terremotati ospitati nelle strutture alberghiere della costa adriatica dovranno sloggiare per far posto ai turisti. Non è ancora chiaro dove verranno sistemati. Un terremoto sconvolge la vita delle persone che lo subiscono, talvolta in modo irreversibile. Meriterebbero almeno rispetto.
Per avere un'idea pur vaga della situazione nelle zone terremotate basta leggere per esempio le pagine che il Resto del Carlino il 21 e il 27 maggio scorsi ha dedicato al dopo terremoto nelle Marche.
Mi limito a citare alcuni titoli degli articoli che vi sono contenuti: "Chiese in balia dei barbari. Da agosto sarà emergenza. Fra tre mesi l'esercito lascerà il territorio"; "Droga nei container degli sfollati"; "I mesi degli sciacalli. Ladri nelle case e affitti boom: vergogna"; "Odissea per le casette. Gli sfollati sballottati fra un trasloco e l'altro. Il loro futuro è un rebus"; "Polemiche per la visita dei parlamentari PD"; "Arquata, paese fantasma: vi diamo sei migranti. Stessa sorte ai Comuni di Acquasanta e Montegallo".
Basta una visita, anche breve, in quei luoghi per rendersi conto della drammaticità della situazione. Evidentemente tutto resterà così come è adesso per molti anni a venire, malgrado le dichiarazioni irresponsabilmente ottimiste dei nostri governanti dediti esclusivamente a campagne elettorali a medio e a lungo termine.
Ma ancor più grave è la responsabilità in questa situazione di coloro che hanno compiti e incarichi tecnico-scientifici: personaggi certamente scelti non su basi scientifiche bensì sulla loro verificata totale disponibilità a seguire i dettami del potere politico. In modo che nessuna voce esca fuori dal coro. Lo si è drammaticamente visto, per fare un esempio dei tanti possibili, in concomitanza con l'evitabilissima tragedia dell'albergo di Rigopiano il 18 gennaio scorso: omissioni scientifiche gravissime e autoassoluzioni vergognose.
Sono le persone socialmente più deboli che muoiono o che restano senza casa, in balìa di scelte fatte in tutta evidenza da incompetenti che mantengono bellamente i loro prestigiosi incarichi. Come qualcuno disse in Friuli, nell'estate del 1976, "Il terremoto è nemico di classe".