160 anni fa, il 16 dicembre del 1857, in Basilicata si verificò un terremoto devastante, magnitudo stimata attorno a 7, che provocò una decina di migliaia di vittime. L’epicentro è stato individuato nel comune di Montemurro ma il danneggiamento fu molto vasto: tutta la Val D’Agri ne fu sconvolta.
Nell'agosto del 2014, su una prestigiosa rivista scientifica è stato pubblicato un lavoro di un gruppo di ricercatori del CNR, che evidenzia proprio in quei luoghi una pericolosissima faglia attiva estesa fino alla superficie terrestre.
La zona, come tutta la Basilicata, è al massimo livello di pericolosità sismica del territorio nazionale. In quei luoghi vengono effettuate estrazioni petrolifere alle quali sono necessariamente associate reiniezioni di fluidi pressurizzati nel suolo.
Fluidi pressurizzati vengono, quindi, iniettati in una zona ad alta pericolosità sismica ove una faglia attiva sarebbe stata localizzata e identificata.
È verificato sperimentalmente che l’iniezione di fluidi pressurizzati nella crosta terrestre provoca terremoti. Può facilmente innescarli se il fluido è immesso in una zona altamente sismica come la Val D’Agri.
Preoccupazioni di questa natura non sono campate in aria ma nascono dal rapporto (denominato con l’acronimo ICHESE), commissionato dalla Regione Emilia Romagna, dal Dipartimento della Protezione Civile (DPC) e dal Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) a un gruppo di esperti per stabilire le cause delle scosse del maggio 2012, che avevano provocato numerose vittime e ingenti danni.
Su questo delicato argomento esiste anche un corposo Rapporto sullo stato delle conoscenze riguardo alle possibili relazioni tra attività antropiche e sismicità indotta/innescata in Italia, redatto dal Tavolo di Lavoro (ai sensi della Nota ISPRA Prot. 0045349 del 12 novembre 2013) composto da rappresentanti del DPC, del MISE, dell’ISPRA, dell’INGV, del CNR e dell’OGS.
Successivamente un gruppo di esperti costituito presso il MISE produsse un documento dal titolo Indirizzi e linee guida per il monitoraggio della sismicità, delle deformazioni del suolo e delle pressioni di poro nell'ambito delle attività antropiche", al fine di mantenere al più alto livello delle conoscenze gli standard di sicurezza in zone sismicamente attive...". A questo gruppo di lavoro partecipò anche l’attuale presidente dell’INGV.
I due rapporti citati danno per certa la possibilità di indurre o innescare terremoti iniettando fluidi pressurizzati nella crosta terrestre. Questa certezza nasce da valutazioni di docenti universitari, alti funzionari di Ministeri e Protezione Civile, ricercatori di tutti gli enti statali che si occupano di terremoti (INGV, CNR, OGS, ISPRA) e delle Università di Napoli e di Roma (Sapienza).
Gli autori di quei documenti sono senz'altro informati della pericolosissima faglia attiva evidenziata dal lavoro pubblicato sul Geophysical Research Letters il 25 agosto 2014, dal titolo Fluid injection induced seismicity reveals a NE dipping fault in the southeastern sector of the High Agri Valley (southern Italy), alla pubblicazione del quale ha contribuito anche il presidente dell’INGV, condividendone i risultati.
Allora è lecito chiedere alla Protezione Civile e a tutti gli enti statali citati se non ritengano necessaria, per il principio di precauzione, l'immediata sospensione delle iniezioni di fluidi pressurizzati in una zona a massima pericolosità sismica ove è presente una faglia attiva estremamente preoccupante.
È anzi doveroso chiedersi perché gli enti preposti alla nostra sicurezza non siano già intervenuti visti i doveri che loro competono in questo ambito. La risposta più ovvia sembrerebbe che le conclusioni del lavoro citato non siano considerate credibili. In altre parole, non risulterebbero evidenze dell’esistenza della faglia proprio nel luogo ove vengono iniettati fluidi pressurizzati.
Se così fosse nascerebbe una questione molto delicata perché il presidente INGV da una parte evidenzia i pericoli connessi all’iniezione di fluidi in zona sismica e dall’altra sembra accettare che iniezioni di fluidi pressurizzati vengano effettuate proprio in prossimità di una faglia la cui esistenza è da lui stesso riconosciuta.
Non si possono tollerare situazioni tanto contraddittorie. Non possiamo dimenticare che in agosto abbiamo assistito ad un’ulteriore prova delle difficoltà incontrate su questioni sismologiche da parte dei vertici INGV. Un terremoto verificatosi in tutta evidenza esattamente sotto l’abitato di Casamicciola (Ischia) a meno di 2 km di profondità è stato localizzato dall’INGV in mare lontano da Ischia e a una profondità di ben 10 km. Il giorno dopo, il 22 agosto, una ventina di ore dopo il terremoto, addirittura apparirà il presidente dell’INGV che, al Tg2 delle 13, confermerà tale valutazione, addirittura indicando una fantasmagorica faglia sottomarina che, secondo lui, avrebbe generato il terremoto.
L’ultima assurdità in ordine di tempo è del 2 dicembre scorso: alle 6 di mattina circa, la sezione di Napoli dell’INGV comunica che ad Ischia si erano verificati sei terremoti. La comunicazione viene smentita quasi tre ore dopo. Siamo al grottesco: il più grande ente europeo di ricerca sismologica aveva scambiato alcuni eventi atmosferici (fulmini e tuoni), per terremoti!
Tornando in Basilicata, si deve assolutamente chiarire se c’è o non c’è una faglia attiva proprio nel luogo ove fluidi pressurizzati vengono iniettati. Se la faglia c’è, tali attività vanno immediatamente interrotte, sperando che i fluidi immessi non abbiano già innescato processi che possano portare in un futuro non lontano ad un terremoto devastante. Se la faglia non c’è, si pone il problema gravissimo della verifica delle competenze di persone che hanno la responsabilità della nostra difesa dai terremoti.
Non esiste una terza possibilità.
Il MISE, la Regione Basilicata e l'INGV hanno stretto un accordo quadro per creare uno speciale sistema di monitoraggio per quella zona. Non si conoscono gli aspetti tecnici dell’accordo e quali ricercatori siano stati coinvolti nel formularlo. Sappiamo solo che la Regione Basilicata ne ha autorizzato la stipula. Non si sa se l’attività sia iniziata, né, in caso affermativo, quali siano stati, fino a oggi, i risultati che, stando a quanto previsto dall’art. 8 dell’accordo stesso, dovrebbero essere "diffusi, in forma aggregata", sui siti web dedicati di MISE, Regione e Arpa Basilicata, ma non su quello dell’INGV. Sicuramente per nostra incapacità, non si è riusciti a trovare i dati. Sarebbe grave scoprire che banalmente il monitoraggio non fosse ancora iniziato. Desta sorpresa che l’accordo è congegnato in modo tale che la responsabilità di incidenti, tutt’altro che improbabili, ricada esclusivamente sull’INGV: viene da pensare che molto elevato sarà il corrispettivo, o i corrispettivi, in denaro.
Di questa vicenda, con certezza sappiamo solo due cose, entrambe estremamente inquietanti.
La prima, è che il sistema di monitoraggio adibito al controllo delle operazioni verrà interamente finanziato dalle compagnie petrolifere, cioè dai controllati. In altre parole, i controllati pagano i controllori.
La seconda, è che il monitoraggio funzionerà con il sistema cosiddetto "a semaforo": appena venissero registrati fenomeni non usuali per la zona, verrebbero immediatamente interrotte le reiniezioni. Proprio come con un semaforo: quando scatta il rosso, le automobili frenano.
Sfortunatamente, nella crosta terrestre i processi non sono controllabili: anche se si "frena", cioè anche se si interrompono tempestivamente le iniezioni di fluidi, non si possono bloccare processi geodinamici ormai irreversibilmente innescati e che potrebbero concludersi in catastrofi inimmaginabili.
Che sia chiaro a tutti che stiamo parlando di questioni delicatissime, che attengono alla sicurezza degli abitanti della Val D'Agri e dei tecnici delle compagnie petrolifere che vi lavorano.
Un ente statale di Ricerca geofisica finanziato dallo Stato, in un Paese fortemente sismico, ha l'assoluto dovere di dedicarsi alla difesa dei cittadini, difesa che deve essere tempestiva e non può essere gregaria a nessun altro interesse, anzi deve essere anteposta a qualunque altro interesse. È per questa ragione che l’indipendenza dell'INGV è garantita dalla Carta Costituzionale. I ricercatori dell'INGV nella loro attività rispondono alla legge e ai metodi della moderna Scienza galileiana. Solo così possono pretendere la fiducia di noi cittadini e i finanziamenti per pagare i loro stipendi.
Geofisico dell’Accademia dei Lincei