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Venerdì, 05 Lug 2024

di Alex Malaspina

Nella mattinata di martedì, la notizia dell’arresto di Giuseppe Ambrosio, soprannominato “il centurione”, con l’accusa di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio e turbativa d’asta, è giunta come un fulmine a ciel sereno, provocando un vero choc tra la dirigenza dell’ente, soprattutto nella sede romana di via Nazionale, dove era approdato nella veste di direttore generale il 2 maggio scorso.

Ambrosio, prima di diventare il numero due del Cra, era stato capo dipartimento del ministero del Mipaaf, capo della segreteria del sottosegretario Franco Braga e capo di Gabinetto degli ex ministri Luca Zaia (Lega Nord) e Giancarlo Galan (Pdl).

Eppure, chi sette mesi fa decise la nomina non poteva ignorare che Ambrosio già aveva seri problemi con la giustizia, come ha ricordato il procuratore aggiunto Nello Rossi nel corso della conferenza stampa tenutasi subito dopo gli arresti. «Nel maggio 2011 - ha spiegato Rossi - nei confronti di Ambrosio c'è stata una citazione a giudizio per una truffa ai danni del ministero rispetto a indebiti pagamenti per 'Enoteca d'Italia'. Nel gennaio scorso è stato incardinato un ulteriore procedimento che aveva come oggetto la promozione della moglie (Stefania Ricciardi) a dirigente del Mipaaf con un titolo di studio non riconosciuto, una laurea presa presso l'università di Malta».

Quest’ultima vicenda, il cui processo riprenderà il 28 gennaio prossimo dinanzi al Tribunale di Roma, vede Ambrosio imputato per abuso d’ufficio e tentata concussione, perché «abusando della sua qualità e dei suoi poteri, tentava ripetutamente di indurre un dirigente e un funzionario del Mipaaf, che avevano denunciato i reati, a ritrattare le loro accuse nei suoi confronti ricercandoli e convocandoli più volte presso il suo ufficio e ventilando, in caso di mancato accoglimento della richiesta, ritorsioni quali ad esempio azioni giudiziarie in sede civile e penale oltre ad altre conseguenze negative, affermando in modo allusivo di aver già predisposto il provvedimento disciplinare nei confronti di un sindacalista che aveva rilasciato un’intervista inopportuna e invitando le vittime a considerare bene tutti i danni che sarebbero scaturiti dalla loro iniziativa sia a livello di carriera che economico».

Sulla sconcertante storia è stata diffusa una nota da Francesco Ferrante, deputato del Partito democratico, che non risparmia critiche al ministro delle politiche agricole in carica.

“Il giro di malaffare e corruzione svelato dalle indagini della magistratura – ha dichiarato l’on. Ferrante - che avrebbe avuto luogo all’interno del Ministero dell’Agricoltura è inquietante, in considerazione dell’ampiezza e del volume di denaro pubblico sottratto.
Ma le parole riportate in un’intervista al quotidiano ‘la Repubblica’ del ministro Catania lasciano francamente stupiti, tanto che ci auguriamo voglia smentirle.”
“In sostanza – continua Ferrante - il ministro Catania, da decenni operante all’interno del Ministero, dice che di tutto ciò che ha portato all’arresto di funzionari e dirigenti lui non aveva sentore. Non vogliamo dubitarne, ma è grave invece che affermi di aver ‘agevolato l’uscita’ di Giuseppe Ambrosio, il dominus della vicenda criminale all’interno del Ministero, verso il posto di direttore del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione.
E questo è avvenuto quando Catania era in carica come ministro, e avevo rivolto a lui un’interrogazione parlamentare per chiedere se la nomina di Ambrosio di cui da tempo si vociferava fosse opportuna, in considerazione dei cinque processi pendenti".

"Il ministro Catania – conclude il deputato del Pd - non ha mai ritenuto opportuno rispondere all’interrogazione, mentre oggi dichiara che si adoperò per trovare una sistemazione ad Ambrosio che non fosse all’interno del Ministero, ma in una struttura di grande importanza e dipendente da esso. Provvidenziale, viste le accuse, è stato l’intervento della magistratura”.

Ambrosio, durante i sette mesi trascorsi al Cra, per due volte, il 19 ottobre e il 13 novembre, ha scritto al Foglietto per contestare, come i lettori ricorderanno, il contenuto di alcuni articoli.

Con la seconda missiva, egli chiedeva addirittura di «valutare la opportunità che la foto associata all'articolo sia rimossa in quanto - per mio stile - a me non piace apparire se non in limiti strettamente indispensabili». Richiesta respinta al mittente.

Ora è urgente che in via Nazionale si volti pagina, con la nomina di un nuovo direttore generale. Al di sopra di ogni sospetto. E con la necessaria attenzione da parte del ministro vigilante.

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