di Antonio Del Gatto
In un ente che ha il compito di elaborare e diffondere la statistica ufficiale, è normale che la parte del leone la facciano i tecnici.
I cosiddetti amministrativi, perché in realtà tecnologi, pur talora raggiungendo posizioni apicali e, persino, di vertice, sono sempre stati visti come ancillari degli statistici puri. Non solo, ma la stessa figura del tecnologo-amministrativo ha sempre avuto vita difficile all’Istat: un po’ tecnologo e un po’ amministrativo, a cavallo tra due mondi ma a disagio in tutti e due.
Ora la strada sembrerebbe definitivamente segnata, anche se non chiaramente definita.
Di recente, come noto a molti, l’Istat si è finalmente dotata, all’esito di una contestata procedura concorsuale, di una pattuglia di dirigenti amministrativi duri e puri nella quale, però, per un motivo o per l’altro, tra una polemica e l’altra, tra una rinuncia e un ricorso, non ha trovato posto la quasi totalità dei tecnologi che per oltre un ventennio aveva assicurato la gestione amministrativa dell’ente di via Balbo.
E’ sorto a questo punto l’ineludibile quesito: che fare della vecchia pattuglia dei dirigenti amministrativi spurii?
Dopo qualche settimana di travaglio, sembra che l’amministrazione stia per tirare fuori il più impensabile dei conigli dal cilindro, una “Rete per il coordinamento amministrativo”, nella quale accogliere i fu dirigenti amministratici-tecnologi, varando l’ineffabile figura dell’esperto bon à tout faire, un prototipo di supporto non si sa bene a chi e a che cosa,
Per i conoscitori della storia dell’Istat, sembra di tornare ai tempi dei “consiglieri statistici”, figure mitiche, escogitate con molta fantasia negli anni ’80 del secolo scorso; per i più giovani, invece, la formula dell’esperto sembra evocare quella dei saggi/facilitatori oggi in voga nella nostra declinante democrazia parlamentare.
Sia come sia, un fatto è certo: trattasi di titolo meramente onorario, una sorta di cavalierato statistico, ma rigorosamente senza alcun compenso aggiuntivo. In pratica, un incarico che i cugini d’Oltralpe definirebbero à remettre.
Un “beneficio”, comunque, non si può escludere ed è rappresentato dalla possibilità, che nessuno sembra negare, di inserire il non ambito riconoscimento nel curriculum.
In tempi di spending review imperante e spietata, certamente poco non è. Basta sapersi accontentare.
Forse a questo avranno pensato gli inventori della immaginifica formula.