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Giovedì, 25 Apr 2024

altPiù volte sul Foglietto abbiamo dato conto delle sconfitte inanellate davanti al Tar dal Cnr, allorquando, in presenza di graduatorie di idonei da far scorrere, l’ente di piazzale Aldo Moro si è rifiutato di dar corso alla relativa procedura.

Come un fulmine a ciel sereno, perciò, abbiamo accolto la pubblicazione di una recentissima decisione del Consiglio di Stato, n.26060 del 26 maggio 2015 che, riformando una precedente sentenza del Tar Lazio (n.7513 del 2014), dà ragione al Cnr proprio su questa materia.

Secondo il supremo giudice amministrativo, “pur se in precedenza il Cnr ha disposto per alcuni dipendenti lo scorrimento della precedente graduatoria … non vi è nulla di illogico o contraddittorio nella successiva determinazione di indire l’ulteriore concorso, rientrando nell’ambito delle valutazioni di merito dell’amministrazione il considerare quale rilievo vada attribuito al decorso del tempo”.

E tale scelta in tanto sarebbe possibile in quanto, nel caso del passaggio a Primo ricercatore, si assisterebbe soltanto a “un passaggio da un livello ad un altro di carattere superiore assimilabile a un passaggio di area”, sicché l’amministrazione non è tenuta a disporre lo scorrimento di graduatoria, perché non si tratta di disporre la nascita di nuovi rapporti di lavoro, ma può legittimamente emanare un nuovo bando, con la finalità di rinnovare all’attualità le valutazioni concernenti le attività dei ricercatori.

Poiché il decorso del tempo non rileva, tutto ruota, insomma, intorno al giudizio dell’amministrazione circa l’attualità dell’attività (titoli e pubblicazioni) dei ricercatori: se questa viene giudicata attuale, la graduatoria scorre, altrimenti si procede con un nuovo bando.

Col che nessuno sembra accorgersi dell’infernale meccanismo in cui sono “gettati” gli idonei, di fatto condannati ad essere sempre sub iudice, visto che una prima volta debbono superare il concorso e, poi, essere giudicati “attuali” dall’ente, cui viene così riconosciuta una discrezionalità quasi sconfinata, che può esercitarsi addirittura senza lasciar traccia, nel senso che l’indizione del nuovo bando non è subordinata ad alcuna motivazione in ordine all’inattualità dell’attività degli idonei stessi. Un risultato a dir poco irrazionale, grazie al quale il cittadino, nella specie del malcapitato idoneo, è deprivato di qualsivoglia garanzia di tutela.

In materia di procedure concorsuali interne ex art. 64, di tutt’altro avviso, invece, si è mostrata la Corte di Cassazione a sezioni unite, adita nel 2008 proprio da numerosi ricercatori del Cnr, perché fosse regolata – una volta per tutte - la giurisdizione (giustizia amministrativa o giustizia  ordinaria), stante una perdurante incertezza.

Nelle molteplici ordinanze emesse nel 2009, la Suprema Corte, in particolare, dopo aver premesso l’introduzione della nozione di area – quale insieme di posizioni professionali associato a plurime qualifiche, anche di diverso livello, ma connotate da elementi di omogeneità – ha esaminato le declaratorie dei tre profili di ricercatore, siccome previste dalle tabelle allegate al dpr 171/91, osservando che esse attestano “una classificazione articolata in tre distinte categorie (dirigenti di ricerca, primi ricercatori e ricercatori)” e, pertanto, il passaggio da una categoria all’altra rappresenta una progressione verticale, vale a dire accesso “a un nuovo posto di lavoro”, con la conseguenza che in materia di concorsi la giurisdizione deve essere attribuita al giudice amministrativo.

La Suprema Corte, nelle predette ordinanze del 2009, ha anche preso in esame il contenuto dell’art. 15 del ccnl 2002-2006 che, tra l’altro, ha previsto che “Il profilo dei ricercatori è caratterizzato da un’omogenea professionalità e quindi da un unico organico, articolato su tre livelli …”, senza però (ri)toccare minimamente le declaratorie dei tre profili di cui al citato dpr 171/91.

Al riguardo, le Sezioni unite hanno precisato “come al giudice vada però sempre riconosciuto il potere di verificare se, al di là della parole adoperate dagli stipulanti il contratto, risulti realmente definito un sistema di classificazione strutturato in aree omogenee, tale che i rispettivi profili professionali, seppur differenziati in livelli, siano riconducibili ad un patrimonio professionale almeno potenzialmente identico per tutti i lavoratori che vi appartengono, sicché il passaggio da un’area all’altra configuri una novazione del rapporto, ricollegandosi ad un diverso grado di autonomia e responsabilità del dipendente …”.

La Suprema Corte ha ricordato altresì, in aderenza ai principi posti dalla giurisprudenza costituzionale, che “in un sistema dell’impiego alle dipendenze della pubblica amministrazione che non prevede più carriere, il passaggio a una fascia funzionale superiore costituisce accesso a un nuovo posto di lavoro”.

Alla luce di tale quadro interpretativo, meraviglia come abbia potuto il Consiglio di Stato, nella commentata sentenza, far leva sulla nozione di area per riesumare quella di carriera, ormai superata in quanto estranea all’attuale configurazione del rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione.

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