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Giovedì, 02 Mag 2024

Annualmente l’Istat presenta le proprie stime sulla povertà in un report diffuso nel mese di luglio. Due sono gli indicatori costruiti per sintetizzare tale fenomeno: quello della povertà assoluta e quello della povertà relativa. Povero assoluto è colui che spende meno di quanto necessario per acquistare beni e servizi ritenuti indispensabili, povero relativo è chi ha speso meno di una determinata soglia costruita considerando la spesa effettuata da tutti gli altri individui.

Senza avventurarsi in considerazioni legate all’opportunità di stimare la povertà attraverso la spesa per consumo, risulta singolare il fatto che, per uno stesso anno, l’Istat abbia fornito due diverse stime della povertà. La seconda stima correggeva il valore diffuso precedentemente di ben 2 milioni di individui. E ciononostante, per l’Istat, la povertà si “mantiene sostanzialmente stabile”.

Nello specifico: il 14 luglio 2014 l’Istat forniva il numero degli italiani che, nell’anno 2013, erano in condizioni di povertà: 10 milioni 48 mila i poveri relativi e 6 milioni 20 mila i poveri assoluti.

Un anno dopo, il 15 di luglio, unitamente alla stima della povertà per l’anno 2014, l’Istat forniva anche una nuova stima per il 2013: i poveri relativi non erano più 10 milioni 48 mila ma 7.822.000, i poveri assoluti da 6.020.000 erano passati a 4.420.000. A partire dal 2014, in pratica, sia in termini di povertà assoluta che relativa, l’Istituto di statistica riteneva non poveri circa 2 milioni di persone in meno rispetto alle stime fin a quel momento prodotte.

Cosa aveva reso possibile l’uscita dalla condizione di povertà di oltre 2 milioni di persone? L’introduzione del reddito di cittadinanza? Un aumento galoppante del livello di occupazione? Una social card senza limiti di spesa per tutti? Nulla di tutto questo. E’ bastato ristrutturare l’indagine sulla quale sono calcolate tali stime.

Certamente il ricorso a nuove metodologie, per questa o altre indagini, è giusto e sempre auspicabile. Certamente le “modifiche sostanziali introdotte” possono produrre scostamenti rispetto a quanto stimato con precedenti metodologie. Ma un calo di 2 milioni  di persone povere (più del 20% di tutti i poveri) può, per logica, essere dipeso dal cambio del nome dell’indagine di riferimento (Spese e non più Consumi), da un questionario più dettagliato e compilato per due settimane anziché una, dall’aver utilizzato il personal computer anziché il questionario cartaceo per raccogliere una parte delle informazioni?

Siccome il ricorso a metodologie nuove non è di per sé garanzia di risultati migliori e visto che, per passare dalla vecchia alla nuova indagine, ci son voluti oltre dieci anni di sperimentazioni e svariati milioni di euro è chiedere troppo di voler conoscere le cause alla base di questo miracolo italiano?

Non è logicamente e statisticamente comprensibile, salvo prova contraria, uno scostamento di tale rilevanza. Come può essere che l’impiego di un differente tipo di questionario o di tecnica di rilevazione siano le discriminanti, per due milioni di persone, tra l’essere povero o meno. E come sperare in scelte politiche efficaci  quando la stima di un fenomeno così importante sembra essere più ballerina dei migliori sondaggi di parte. O si davano i numeri prima o li si stanno dando adesso.

Così, forse, deve averla pensata anche il presidente dell’Istat, dal momento che ha, recentemente, costituito un gruppo di lavoro con l’obiettivo di analizzare la coerenza delle misure “ufficiali” di povertà e deprivazione, sia sotto l’aspetto delle differenze tra le diverse misure di povertà e disagio sociale esistenti in Italia, sia sotto quello delle differenze emergenti in conseguenza della ristrutturazione delle indagini di base per le stime di povertà.

Peccato, però, che nel nutrito gruppo di lavoro, tra i 23 componenti ve ne siano diversi che, a vario titolo, sono stati coinvolti nel processo di ristrutturazione dell’indagine.

Infine, dal momento che è trascorso un anno tra la pubblicazione dei due report sulla povertà, perché non sono state rese note eventuali analisi utili alla comprensione delle differenze riscontrate? Perché nessun risultato delle costose sperimentazioni è stato reso pubblico?

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