Il lungo e tormentato processo di modernizzazione dell’Istituto nazionale di statistica (Istat), fortemente voluto dal presidente Giorgio Alleva, a breve produrrà i primi effetti: la nomina dell’alta dirigenza tecnica e amministrativa che, di fatto, dovrà attuare il disegno riorganizzativo, da poco licenziato dal Consiglio dello stesso istituto.
Trattandosi di poltrone molto ambite, oltre che ben retribuite, è inevitabile che partisse il toto nomine, soprattutto all’interno dell’ente. E fin qui, tutto normale, trattandosi di pratica molto in auge nel nostro paese.
Ciò che, invece, sembra essere una novità, è la presenza di “indovini”, con i quali non è difficile imbattersi lungo i corridoi, le stanze e finanche i piazzali, che snocciolano nomi e cognomi di direttori e capi dipartimento che, a loro dire, reggeranno le sorti del prestigioso Istituto di statistica per i prossimi anni a venire.
Eppure, come tutti sanno, le “manifestazioni di interesse” dei candidati ai posti in questione non si sono ancora concluse e nessuno sa (o dovrebbe sapere) chi avrà la meglio nella singolar tenzone. Tutti, ovviamente, non lo sanno, tranne loro; i nostri occhiuti maghi.
Ma l’arte divinatoria di cotanti fenomeni non si ferma certo qui, essi asseriscono anche di conoscere i nomi e i cognomi dei tanti peones già finiti, a loro dire, in una specie di lista di collocamento. Davvero sorprendente e anche a dir poco inquietante.
Ma noi non crediamo a una sola parola dei sedicenti “indovini”, anche perché confidiamo nell’operato corretto del Presidente, del Consiglio e della “loro” Commissione, che valuterà di certo in maniera trasparente e imparziale i titoli dei candidati; ovviamente bandendo favoritismi e clientelismi. Inoltre, non crediamo che liste di persone (per giunta ignare) possano essere messe di qua e di là con criteri del tutto oscuri.
Viceversa, e a tal proposito, invitiamo tutti gli indovini, veri o presunti, a rileggere con attenzione il ventesimo Canto dell’Inferno dantesco e a farne tesoro e buon uso: “Mira c’ha fatto petto de le spalle perché volle veder troppo davante, di retro guarda e fa retroso calle”.
Non vorremmo, in buona sostanza, che anche per questi novelli indovini statistici si abbia a ripetere la scena che Virgilio invita perentoriamente Dante a guardare.
Infatti, il poeta ne scorge uno in particolare, egli è Anfiarao: il dannato ha le spalle al posto del petto, per aver voluto vedere troppo in avanti e per punizione è costretto, dalla raccapricciante postura, a guardare indietro e a camminare a ritroso. Per l’eternità.