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Mercoledì, 03 Lug 2024

di Adriana Spera

C’è una categoria di lavoratori che non conosce crisi. E’ quella degli “interpreti” di norrne ambigue ed equivoche. Tra queste rientrano alcuni articoli del d.lgs. n. 150/09 (c.d. decreto Brunetta).

La scorsa settimana ci siamo occupati dell’art. 19, relativo alla valutazione della performance.  Oggi tocca agli articoli 62 co.1-bis, 65 co. 2 e 23. Il primo recita testualmente: “I dipendenti pubblici  (dipendenti scolastici esclusi, ndr) sono inquadrati in almeno tre distinte aree funzionali. Le progressioni all'interno della stessa area avvengono secondo principi di selettività, in funzione delle qualità culturali e professionali, dell'attività svolta e dei risultati conseguiti, attraverso l'attribuzione di fasce di merito. Le progressioni fra le aree avvengono tramite concorso pubblico, ferma restando la possibilità per l'amministrazione di destinare al personale interno, in possesso dei titoli di studio richiesti per l'accesso dall'esterno, una riserva di posti non superiore al 50 per cento di quelli messi a concorso. La valutazione positiva conseguita dal dipendente per almeno tre anni costituisce titolo rilevante ai fini della progressione economica e dell'attribuzione dei posti riservati nei concorsi per l'accesso all'area superiore”.

Trattasi di disposizione che sembra mandare in pensione tout court il vecchio ordinamento degli enti di ricerca, fatto, come noto, di profili (6) e livelli (20). L’art. 23, invece, disciplina le progressioni economiche, stabilendo che le stesse “sono attribuite in modo selettivo, ad una quota limitata di dipendenti, in relazione allo sviluppo delle competenze professionali ed ai risultati individuali e collettivi rilevati dal sistema di valutazione”.

Tali disposizioni “innovative”, che non valgono per le selezioni con decorrenza ante 2011, devono però essere recepite, come pure la norma sulla performance, dai contratti collettivi.

Dello stesso avviso sono stati alcuni Giudici del Lavoro. Ma non il ministro Brunetta, che durante il Consiglio dei ministri dello scorso venerdì, si è fatto approvare un decreto (di cui non si conosce  ancora il testo integrale) per cercare di fugare  ogni dubbio sulla immediatezza applicativa anche dell’art. 65, comma 2 del d.lgs. 150, secondo il quale “In caso di mancato adeguamento (al d.lgs. 150, ndr), i contratti collettivi integrativi vigenti ... cessano la loro efficacia dal 1° gennaio 2011 e non sono ulteriormente applicabili”.

La norma però non sembra compatibile con il blocco dei contratti nazionali fino a tutto il 2013. In pratica, Brunetta vorrebbe la  botte piena e la moglie ubriaca.

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