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Giovedì, 04 Lug 2024

di Maurizio Sgroi*

E’ una storia amorosa, con i suoi risvolti di tradimenti e abbandoni, quella che si è consumata nell’ultimo decennio fra le imprese e le banche europee. E come tutte le storie amorose del nostro tempo, si dibatte fra il sogno di un lieto fine e una realtà da fine assai triste, dove i crediti elargiti con graziosa generosità nel passato sono diventati debiti vieppiù inesigibili. Il che toglie molto romanticismo a tutta questa vicenda.

 

A leggerla poi, questa storia, dall’ultimo bollettino della Bce qualunque sentimento amoroso evapora. C’è solo la triste e incolore realtà dei bilanci a farla da padrona. E i bilanci, come i creditori, sono implacabili. Perciò per provare a renderla intellegibile, ho pensato di dividerla in due atti: la seduzione e l’abbandono.

Atto primo: la seduzione. Il corteggiamento parte silenzioso nel 2001. L’integrazione monetaria, come ogni primavera, allenta il buon senso. L’eurozona, fresca di matrimonio, si abbandona a un consumo febbrile di liquidità. La cavalcata del credito, che viene elargito a chicchessia, ignorando ogni criterio di sicurezza. dura un settennio intero, alla fine del quale, all’inizio del 2007, i prestiti delle imprese finanziarie, quindi banche in testa, alle imprese non finanziarie, arrivano a sfiorare i 500 miliardi di euro, un po’ meno della metà totale della montagna di debito privato raggiunto dal settore corporate europeo. L’indebitamento corporate procede senza freni per tutto l’anno. Nell’ultimo quarto i prestiti alle imprese raggiungono quasi quota 600 miliardi su un totale di oltre 1.400 miliardi di debiti. Il debitore corporate europeo raggiunge il suo picco. La calda estate del credito europeo, però, prepara l’autunno.

Atto secondo: l’abbandono. Nel 2008 inizia la contrazione. Ancora contenuta nel primo trimestre, quando il totale dei debiti scende sotto i 1.400 miliardi, di cui quasi 600 di provenienza bancaria, si fa pronunciata nel secondo, quando il totale crolla a 1.200 e i prestiti bancari a 500. Alla fine dell’anno il totale è sceso intorno ai 900 miliardi e la quota bancaria a poco più di 400. Il de-leveraging prosegue tumultuoso nel 2009, l’anno orribile dell’eurozona, al termine del quale il totale del credito concesso alle imprese scende addirittura sotto i 400 miliardi e i prestiti bancari diventano addirittura negativi.

L’abbandono è senza pietà, come vuole la prassi amorosa. Nel primo trimestre del 2010 i prestiti bancari diventano negativi per 100 miliardi e rimangono assenti sostanzialmente per tutto l’anno. Le banche si guardano bene dal prestare alle aziende che, per trovare di che vivere, devono sperimentare altre vie, emettendo azioni, titoli di debito o gestendo i crediti commerciali. Ciò malgrado le imprese europee non vengono risparmiate dal gelido inverno del credito.

Atto terzo: come finisce un amore. I dati del bollettino della Bce, aggiornati ai primi due trimestri del 2013, mostrano una curva di credito circolante ormai ridotto al lumicino, sotto i 400 miliardi, con il credito bancario che zavorra il totale con quasi -200 miliardi. Le banche hanno altro da fare che prestare i soldi alle aziende. Più facile e meno rischioso comprare titoli di stato.

E ciò, malgrado la Bce noti con una certa soddisfazione gli effetti benefici di tale deleveraging. “Il rapporto fra il debito delle imprese non finanziarie e il Pil ha continuato ad aumentare anche dopo lo scoppio della crisi, toccando il livello massimo del 105% nel 2009-2010 (..). Sebbene si osservi solo una lieve correzione nell’insieme dell’area, il quadro di riduzione della leva societaria appare più preciso a livello nazionale e per settore di attività”.

Già, la famosa frammentazione della zona euro. Prima che si frammentassero gli spread, la frammentazione era quella del credito. Nel senso che all’interno dei singoli stati ci sono state  e ci sono profonde differenze nell’elargizione del credito. Una cosa in comune, però, ce l’hanno gli stati: fino al 2000 i debiti delle aziende europee erano contenuti. Poi l’indebitamento è esploso.

Ma non dite che è colpa dell’euro.

In Irlanda, per dare un’idea, il settore corporate passato da poco meno del 100% del rapporto debito corporate/Pil al picco del 226%. Ora le aziende irlandesi sono al 218%. “Nel secondo trimestre del 2013 le società (in alcuni paesi, ndr) hanno registrato progressi nella riduzione degli elevati livelli debito/pil”, nota la Bce. Ma rimangono ancora elevati in paesi fragili, come Portogallo e Cipro, dove la crisi ha fatto crollare il prodotto e quindi i debiti corporate sono rimasti a un livello assai superiore della media euro.

La buona notizia, visto che bisogna pur trovarne almeno una quando finisce un amore, è che si è ridotta la quota di debito a breve utilizzata per finanziare quello a lungo, passata, nell’area, dal 33% del 2000 al 24% del 2013. “Da questo punto di vista – nota la Bce – le società sembrano essere relativamente ben protette a fronte di brusche variazioni delle condizioni di finanziamento di breve termine”. Sempre che si finanzino a tassi fissi e non variabili, viste le probabili future tensioni sui tassi. Anche perché in paesi come la Finlandia e l’Estonia oltre l’80% di questi prestiti, sia a breve che a lungo termine, sono stati contrattati a tasso variabile.

Insomma: la nostra storia d’amore si conclude come da copione: con un bel divorzio.

Difficile capire però chi pagherà gli alimenti.

Socio-economic journalist*
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