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Giovedì, 04 Lug 2024

Come sempre in piena estate - quando il mondo politico è in vacanza e non piovono cattive notizie relative a provvedimenti deleteri, quando anche gli italiani dovrebbero (se se lo possono permettere) godersi un periodo di meritato riposo – impazzano le classifiche sugli atenei del mondo.

Forse le classifiche vengono diffuse in estate perché è proprio sotto la canicola che molti giovani devono fare una scelta cruciale per il proprio avvenire.

Sta di fatto che la lettura delle suddette classifiche ci rimanda una fotografia sempre più scura della nostra università. E dire che dagli albori della cosiddetta seconda repubblica (governo Amato) si sono succeduti ben 11 ministri e addirittura 15 governi. Per non parlare di progetti e leggi di riforma e (contro)riforme, che non hanno fatto altro che peggiorare - sia in termini di didattica che, soprattutto, di pari opportunità nell'accesso agli studi - la nostra università, come confermano tutte le tanto decantate e sempre più elaborate graduatorie.

Ogni classifica segue una sua metodologia di calcolo per cui non sono del tutto raffrontabili; ognuna ha i suoi indicatori, nessuna è perfetta e capace di riflettere la realtà delle singole università (che presentano forti differenze interne da una facoltà all'altra). Ma, sia come sia, se ne parla molto. E dire che un'inchiesta approfondita “sul campo” e, soprattutto, tra gli studenti e i neo laureati in cerca di lavoro, ci svelerebbe molto di più sullo stato di salute degli atenei italiani. Ma di inchieste il mondo dell'informazione italiano non ne fa più, e da tempo. Va di moda la superficialità. Di più, la superficialità conduce alla guida del paese!

Fatto sta che anche nello scorso agosto, per l'ennesima volta, ha impazzato la notizia relativa al fatto che secondo l'Academic Ranking of World Universities (Arwu) 2014 - nell'elenco delle 500 migliori università del mondo, stilato ogni anno dalla Jao Tong University di Shangai (Cina) – nessuna università italiana è fra le prime 150.

Come ormai accade da oltre un decennio, le università americane la fanno da padrone: Harvard in testa, seguita da Stanford e dal Mit di Boston. Tra le prime diciotto, sedici sono americane, le altre, manco a dirlo, sono l' aristocrazia degli atenei mondiali: Oxford e Cambridge.

Fra gli atenei italiani, ancora una volta primeggia l'Università di Bologna.

Occorre rammentare che la classifica Arwu snocciola una per una le prime 100 posizioni, mentre dalla 101esima alla 500esima vengono riunite in gruppi di 50 (101-150, 151-200, ecc.). Tra i primi 100 atenei  cinquantadue sono statunitensi, trentasette europei, quattro canadesi, quattro giapponesi e tre australiani. Tra le europee quattro sono francesi: Pierre and Marie Curie di Parigi, Parigi sud (Paris 11), Ecole Normale Superieure e Strasburgo. Per la Svizzera, l’istituto di tecnologia di Zurigo in 19esima posizione. Due le tedesche, Heidelberg e Monaco. La danese Copenaghen è al 39esimo posto.

Per consolarci, possiamo dire che è aumentato da 19 a 21 il numero di università tricolori presenti nell'elenco Arwu. Nel gruppo 151-200 adesso sono sei: Bologna, Torino, la Statale di Milano, Padova, La Sapienza e Pisa. Tuttavia, occorre registrare l'uscita dalla graduatoria del Politecnico di Torino, fino al novembre 2011 retto dall'ex ministro Profumo.

Le altre università italiane si collocano oltre la 200esima posizione. Il Politecnico di Milano e l’università di Firenze tra il 201esimo e il 300esimo posto, mentre atenei blasonati come la Normale di Pisa, Milano Bicocca, la Federico II di Napoli e Roma Tor Vergata si piazzano tra il 301esimo e il 400esimo posto. Ultime, tra la 401esima e la 500esima posizione, la Cattolica di Milano, Cagliari, Ferrara, Genova, Palermo, Parma, Pavia, Perugia e Trieste.

Insomma, l'ultracentenaria università italiana viene battuta da atenei di recente fondazione quali Gerusalemme, Seul, Taiwan, Mosca.

Nella fascia 101-150, dove, come già detto, non c'è traccia di atenei italiani, vi sono invece università di paesi emergenti quali Brasile e Cina e nella fascia 150-200 (quella delle prime italiane) si trovano anche due università degli Emirati Arabi Uniti oltre agli atenei di Praga, Barcellona e Dublino.

Ma se si vanno a guardare le singole facoltà si scopre, ad esempio, che sono ben 13 gli istituti italiani per lo studio della matematica che si classificano fra i primi duecento. Milano, Pisa e La Sapienza addirittura si classificano fra le prime 100. Politecnico di Milano, Normale di Pisa, Padova, Pavia, Firenze, Torino e Parma fra 101 e 150. Catania, Genova, Bicocca, Federico II, Pavia, Tor Vergata e Trieste (151-200).

Milano e Torino sono le migliori per medicina (tra 76 e 100), seguite da Bologna e Padova (101-150), Firenze, Genova, Federico II di Napoli e La Sapienza (151-200).

Milano si colloca bene anche per quanto riguarda la facoltà di economia (101-150esimo posto), ma a sorpresa non con la mitica  Bocconi, che è assente nella classifica generale, bensì con la Bicocca. La Statale di Milano si piazza invece tra il 151-200 posto. Sono le uniche due italiane nella classifica mondiale per lo studio delle materie economiche.

Solo quattro facoltà italiane di informatica e tecnologie rientrano nella top 200 e, comunque, non ai primissimi posti: Politecnico di Torino e La Sapienza (101-150), Politecnico di Milano e Università di Trento (151-200).

Ma, come dicevamo in premessa, ogni classifica diverge molto dalle altre e così, ad esempio, per Il Sole 24ore, che ha messo a confronto 77 università italiane tra statali e private, le migliori sarebbero quelle di Trento e Verona, seguite dal Politecnico di Milano e dall’Università Statale di Bologna.Tra gli atenei non statali, invece, spiccano il San Raffele di Milano, la Bocconi, la Luiss di Roma e il Roma Campus Biomedico. Molte di queste non sono neppure nella classifica Arwu.

Ciò che non ci dicono le classifiche, specialmente quelle stilate in altri paesi, sono le diverse opportunità di accesso per gli studenti, la trasparenza dei criteri di selezione dei docenti, le risorse dedicate e molto altro. Tutti elementi per i quali l'università italiana è maglia nera, grazie anche a una classe politica che su questi temi non sembra proprio, per usare un'espressione ormai tanto in auge, voler “cambiare verso”, tant'è che, se si raffrontano le posizioni nelle varie classifiche nel corso del tempo si può vedere che si segue una parabola discendente.

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