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Giovedì, 04 Lug 2024

In questo periodo di "riforme" a fronte di una grande difficoltà economica, si segnala una recente pubblicazione dell’Isfol dal titolo “Mercato del Lavoro, capitale umano ed imprese: una prospettiva di politica del lavoro”*, che restituisce elementi importanti relativi all’andamento del mercato del lavoro rispetto alle riforme, alle competenze nelle professioni, ai contratti ed allo sviluppo delle imprese.

L’analisi comparativa esamina modelli di diversi paesi europei, ma particolare rilievo assumono alcune situazioni tipiche dell’attuale contesto italiano ed in particolare le condizioni per le quali le imprese italiane hanno perso capacità competitiva e come questo declino della capacità di produrre ricchezza abbia influito sul mercato del lavoro, penalizzando di fatto l’occupazione definita di “buona qualità”.

Ad oggi, infatti si può chiaramente affermare che le politiche di deregolamentazione del mercato del lavoro iniziate negli anni ’90 non hanno migliorato né la produttività delle imprese, né l’occupazione ed i salari. La liberalizzazione ed un uso sproporzionato dei contratti a tempo determinato (o di altre forme contrattuali temporanee), introdotti nell’ottica di fornire più flessibilità ad un mercato del lavoro effettivamente rigido e resistente, hanno - nei fatti - ridotto le tutele per alcune tipologie di lavoratori, senza peraltro migliorare il valore della produzione delle imprese, né tantomeno produrre un risparmio significativo del costo del lavoro.

Si legge nel testo che “la pervasiva diffusione di contratti a termine che si è verificata nel nostro paese sembra aver esasperato le fragilità del tessuto produttivo, nella misura in cui l’instabilità dell’occupazione ha scoraggiato l’accumulazione di competenze professionali, la valorizzazione delle risorse umane nei mercati interni del lavoro e l’investimento nelle nuove tecnologie”.

Com’è noto il precariato è diffuso in tutti i settori produttivi, pubblici e privati e, questa mancanza di continuità del rapporto di lavoro, ha modificato il livello di certezza sul futuro, sulla effettiva disponibilità di un reddito e di condizioni di lavoro adeguate su cui poter contare per la pianificazione della vita presente e futura per un numero elevatissimo di lavoratori.

Con un linguaggio chiaro e a tratti legittimamente tecnico, il volume affronta in maniera empirica “la relazione tra la riduzione della tutela del lavoro per i contratti a termine e l’evoluzione della dinamica della produttività”. Per cui ci si chiede: se la perdita di efficienza che si è accompagnata alla diffusione pervasiva dei contratti a tempo determinato, non ha prodotto sostanziali effetti positivi per la crescita dell’occupazione, perché continuare su questa strada? E se questo paradosso è ormai un assunto tipico del contesto italiano, perché la sfera di intervento fino ad ora attivata per ridurlo è così limitata?

Ci si dimentica che la legislazione che riguarda l’occupazione condiziona non soltanto le dinamiche del mercato del lavoro, ma anche il sistema economico e soprattutto il benessere sociale.

Ci si dimentica che i lavoratori precari sono diventati i veri “vassalli” delle numerose politiche sul lavoro, dei processi di contrattazione e delle relazioni industriali. Oggi ancora si legge di richieste di tutela nei confronti di organizzazioni, enti e istituti, che in realtà sopravvivono pacificamente ad accorpamenti e cambiamenti, perdendo, però, porzioni importanti di dipendenti e collaboratori.

Ci si dimentica che è una responsabilità inalienabile di tutti, quella di tutelare i posti di lavoro, un impegno che, nell’ambito delle proprie possibilità, deve promuovere le condizioni necessarie per cui si possa modificare la condizione anche di un solo lavoratore precario. Iniziando in tal modo a migliorare quella spirale di inefficienza produttiva.

E speriamo ci si possa dimenticare di quei processi di inserimento lavorativo privi di valutazioni di capacità e merito, ma basati sui meccanismi di immissione globalizzata che si traducono nella devastante presenza di personale non adeguatamente selezionato e/o inidoneo.

Se, come si legge nel testo “le politiche attuate fino ad ora non hanno migliorato l’efficienza e la dinamica espansiva del tessuto produttivo, ma al contrario ne hanno indebolito ulteriormente gli incentivi ad investire in innovazione e in capitale umano nei luoghi di lavoro e quindi le prospettive di crescita imprenditoriale”, ci si augura che le nuove politiche creino le condizioni per ridurre la disoccupazione, incrementare la mobilità ed i redditi ed a stimolare la formazione professionale e le competenze.

Considerato che la disoccupazione in Italia a luglio 2014 era pari al 12,6% (in aumento di 0,3 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 0,5 punti nei dodici mesi) e che il numero degli occupati (22 milioni 360 mila) è in diminuzione dello 0,2% rispetto al mese precedente (-35 mila) e dello 0,3% su base annua (-71 mila)**, non è certo un obiettivo da sottovalutare.

A questo si aggiungono i dati dell'Ocse che nel suo Employment outlook ha calcolato che la disoccupazione degli under 25 in Italia - nell'intero 2013 - ha toccato quota 40%, quasi il doppio del livello pre-crisi (20,3% nel 2007) e che il 52,5% dei giovani italiani under 25 ha un contratto di lavoro precario.

In questi giorni di grande attenzione nei confronti dell’attività del governo sul cosiddetto Job Act - la legge delega sul lavoro – le analisi ed opinioni espresse dagli autori del volume possono contribuire ad una riflessione generale sul grado di tutela e sulle opportunità da creare, non solo per  migliorare la ricettività del mercato del lavoro, ma sostanzialmente utili ai lavoratori.

* Collana editoriale “I libri del Fondo sociale europeo” (n. 184) Mercato del Lavoro, capitale umano ed imprese: una prospettiva di politica del lavoro, ISFOL, 2013

**Dati Istat

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