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Mercoledì, 03 Lug 2024

L’appuntamento dicembrino con il supplemento del bollettino statistico di Bankitalia, che fotografa la ricchezza delle famiglie italiane dell’anno prima, è una di quelle occasioni gloriose per il mainstream.

Il pezzo, per i giornali, è praticamente scritto nella prima pagina del bollettino, che dà subito i numeri di come e quanto, soprattutto quanto, è cambiata la ricchezza degli italiani e regala dei titoli facili. Tipo: “alla fine del 2013 il valore della ricchezza netta complessiva è diminuito dell’1,4%”. Oppure: “secondo stime preliminari, nel primo semestre 2014 la ricchezza netta delle famiglie sarebbe ulteriormente diminuita in termini nominali dell’1,2% rispetto a dicembre 2013″.

La gran parte degli osservatori si ferma qua. I giornali, a seconda di motivazioni o inclinazioni, scrivono che le famiglie italiane sono più povere o meno ricche, dipende se prevale il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, visto che comunque continuiamo a quotare una ricchezza media pari a otto volte il reddito lordo. E poi parte il circo di coloro che commentano senza neanche aver capito niente. Per sport.

Poiché mi illudo che bisogna pur provare a capire, mi sono proposto di leggere questo bollettino con un occhio diverso. Facendo caso a certe sfumature e magari leggendolo in controluce, confrontandolo con i due che lo hanno preceduto. D’altronde, è noto che il diavolo si annida nei dettagli.

Il confronto è utile anche perché i valori nominali sono assai ingannatori. Per dire: nel rapporto 2013 leggo che la ricchezza netta era pari a 8.728 miliardi, al netto quindi del calo dell’1,4%, pari a 123 miliardi, registrato nel corso dell’anno rispetto al 2012. Sennonché, se ripesco il bollettino dell’anno scorso leggo che la ricchezza netta era pari a 8.542 miliardi, quindi assai meno del dato 2013, malgrado il calo denunciato da Bankitalia. Evidentemente è una questione statistica che ha a che vedere con la circostanza che le valutazioni sono a prezzi correnti dell’anno.

Perciò tanto vale fidarsi di Bankitalia che nota come “dalla fine del 2007 la flessione a prezzi costanti è stata complessivamente dell’8%”. Una robetta da circa 700 miliardi di euro. Il che misura l’esatto dimagrimento medio subito dalle famiglie italiane che hanno vissuto l’ennesimo anno nero, il 2013, e si apprestano a concluderne un altro, il 2014, che già dai primi sei mesi confermava un trend declinante della ricchezza media.

E sarebbe strano il contrario. Difficile che la ricchezza familiare aumenti quando il prodotto nazionale declina. Ricordo che la crisi è costata circa nove punti di Pil reale. Se lo confrontate con il calo dell’8% della ricchezza familiare, noterete che tutto torna.

La novità, ma relativa, è che il peso specifico della ricchezza reale declina da un triennio rispetto a quella finanziaria. Alla fine del 2011 il mattone pesava il 62,8%. Un anno dopo il 61,1, nel 2013 il 60. Ma neanche questo è strano: i prezzi del mattone sono calati costantemente, a differenza di quelli degli attivi finanziari. A fine 2013 questo stock valeva 4.900 miliardi, il 4,1% in meno rispetto all’anno precedente, -4,4% in termini reali. In un anno, un dimagrimento di oltre 100 miliardi di euro.

Altresì interessante è notare come sia mutato il peso relativo dei debiti. Nel 2011 le famiglie avevano debiti pari al 71% del reddito disponibile. Un anno dopo questi erano schizzati all’82%, da lì sono scesi all’81% nel 2013, guidato dal calo dei tassi. Tale diminuzione dei debiti non è bastata a compensare, neanche sommandola all’aumento degli attivi finanziari, il calo di ricchezza provocato dal crollo del mattone nel 2013. Rimane il fatto che i debiti delle famiglie italiane siano aumentati parecchio in tre anni e questo, sommandosi al calo del mattone, spiega molto il decrescere della ricchezza netta.

Eppure “nonostante il calo degli ultimi anni, le famiglie italiane mostrano nel confronto internazionale un’elevata ricchezza netta”, che suona un po’ come se tutto sommato non dovrebbero lamentarsi.

A vedere le medie sembra proprio così.

Ma poi se si volta pagina si scoprono tante altre cose. Specie guardando un grafico che riepiloga l’andamento a prezzi correnti delle varie componenti dal 1995 al 2013. E qui c’è un altro di quei dettagli diabolici che, se non ci si fa caso, rischia di passare inosservato.

Noto, ad esempio, che ancora nel 1999 i beni reali in pancia alle famiglie valevano circa 3.000 miliardi. dieci anni dopo, nel 2009 erano raddoppiati, passando a 6.000 miliardi, dimostrando che la gran parte dell’arricchimento delle famiglie italiane è stato determinato dal boom dei valori immobiliari. Il mattone è insieme la cassaforte e la zavorra delle famiglie.

A fine 2013, infatti, il totale delle attività reali era di 5.767 miliardi, l’85% delle quali abitazioni, ossia circa 4.900 miliardi, diminuito, fra fine 2012 e fine 2013, di ben 211 miliardi.

Noto pure l’incredibile aumento dei debiti delle famiglie che, ancora nel 1995 quotavano poche centinaia di miliardi. I debiti crescono insieme con la ricchezza e l’incremento dei corsi immobiliari, arrivando ormai a sfiorare i 900 miliardi di euro (886 mld), dei quali 380 per mutui. E poiché i debiti si devono sottrarre alla ricchezza lorda per avere quella netta, ecco spiegata l’altra componente del dimagrimento in corso: le famiglie hanno fatto debiti per comprare mattone, evidentemente sopravvalutato, e ora si trovano con un mattone che perde valore, al contrario dei debiti. E’ come se avessero tessuto la corda che le ha impiccate. Ciò spiega anche perché “il livello di ricchezza media per famiglia nel 2013, espresso a prezzi costanti, era simile a quello della fine degli anni novanta“.

Siamo tornati indietro di quindici anni. E il timore è che non sia finita qua.

Se guardiamo ai numeri indice della ricchezza immobiliare, infatti, notiamo che dal 1995 (fatto indice 100), tale valore è più che raddoppiato, superando 240 nel 2011, da quando ha iniziato inesorabilmente a declinare. E’ evidente che se il settore immobiliare non arresterà la sua caduta, ciò non potrà che avere conseguenze sulla ricchezza delle famiglie. Ma non si capisce come dovrebbe fermare la sua discesa, visto che i redditi, che dovrebbero sostenerlo, sono a loro volta retrocessi a livelli da fine anni ’90.

E infatti Bankitalia nota che per il primo semestre 2014 “si stima una contrazione del valore della ricchezza delle abitazioni dell’1,2% a prezzi correnti”. Che su un totale di 4.900 miliardi pesa circa una cinquantina di miliardi in meno.

Noto anche un’altra cosa, scrutando i dati della ricchezza finanziaria. Rispetto al 2007 la classe di depositi bancari con importi fino a 50 mila euro ha visto diminuire il suo peso relativo di oltre il 10% a vantaggio delle classi superiori, ossia fra i 50 mila e i 250 mila e oltre i 250 mila. La crisi perciò ha avvantaggiato chi aveva già di più a danno di chi aveva di meno.

Chissà perché neanche questo dato mi sorprende.

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