In questo particolare e alquanto difficile momento storico, nel quale tutti i mali della nostra italietta sono a causa e per colpa dei “sindacati” e dei “dipendenti pubblici” (pubblica amministrazione in toto), mi resta difficile parlare (e scrivere) di sindacalismo all’interno della pubblica amministrazione.
In particolare avendo lavorato sodo (senza tornaconti e in puro volontariato) in un’organizzazione che ha dovuto farsi spazio senza compromessi, nell’interesse di tutti, cittadini e lavoratori. Una porta sempre aperta per chi ha necessità o subito torti che ne hanno segnato, in molti casi, per sempre, la normale e serena vita lavorativa, non la carriera, attenzione, la normale e serena vita lavorativa, e non solo. Frustrante, ma dobbiamo voltare pagina, più determinati che mai.
Chi scrive, in un passato remoto è stato delegato sindacale in importanti sigle sindacali metal-meccaniche e ferroviarie. Ex lege transitato con altri dalle Ferrovie dello Stato a piazzale Aldo Moro, sponda Cnr, si è trovato novello Don Chisciotte a lottare da solo contro i mulini a vento, supportato da un manipolo di ex colleghi disseminati in tutta Italia e in tutti gli enti pubblici.
Abbandonato da tutte le sigle sindacali confederali, cercato ed aiutato invece (senza chiedere niente in cambio) da Usi-Ricerca. Quintali di richieste, lettere, incontri, contratti decentrati disattesi ... tribunali, sentenze che in estrema decisione non fanno onore alla giustizia italiana, interpretando una legge chiara (Dpcm 325/88) al contrario di ciò che essa impartisce. Onore a quei giudici che ci hanno dato ascolto, hanno realmente letto la legge, i pro-memoria e quant’altro e ci hanno dato ragione senza limiti, ma non è bastato.
Ad un certo punto della storia, il bene che uno prova per se stesso e la famiglia impone di “lasciar perdere” anche con un profondo senso di frustrazione e un acre amaro in bocca. Si volta pagina, ma senza abbandonare il problema.
Due parole vorrei dirle alla gran parte dei sostenitori dell’equazione pubblici impiegati uguale “fannulloni”. Parlano senza conoscere le norme del Pubblico Impiego. A coloro che a gran voce vogliono avvicinare il più possibile le regole del lavoro pubblico a quelle del privato vorrei ricordare il blocco da oltre cinque-sei anni dei rinnovi contrattuali e, soprattutto, la “tassa” per le assenze per malattia.
Cosa succede quando si ammala un dipendente pubblico? A differenza del settore privato, nel quale non è prevista alcuna trattenuta, ai dipendenti pubblici che si sono ammalati dal 25 giugno 2008, in conformità dell’art. 71 della legge 133/08 (Legge Brunetta), e parafrasando lo stesso, per ogni periodo di assenza per malattia di qualunque durata, nei primi 10 giorni di assenza (e ogni volta si ricomincia da capo con il conteggio), le Amministrazioni corrispondono il solo trattamento economico fondamentale, con esclusione di ogni emolumento accessorio. Tale iniquo trattamento è “riservato” solo al settore Pubblico. E, fatto curioso, almeno nel comparto ricerca, è inversamente proporzionale al proprio stipendio: in concreto “meno guadagni più paghi”.
A un operatore tecnico apicale, infatti, dieci giorni di malattia costano euro 193,60; ad un collaboratore tecnico apicale, dieci giorni di malattia costano euro 244,60; a un dirigente di ricerca di primo livello, dieci giorni di malattia costano euro 60,90. Così, per informazione. Frustrante ma occorre andare avanti, sperando che le nuove generazioni, qualora riusciranno a spezzare le catene in cui la politica le ha imbrigliate, possano seminare equità in tutto il mondo del lavoro e decisamente voltare pagina.
Vorrei ricordare quello che ha scritto Adriana Spera nell’articolo apparso nell’ultimo numero del Foglietto Gli iscritti a Usi-Ricerca non si faranno abbindolare dalle false sirene e non voteranno alle Rsu: “Il sindacato Usi-Ricerca è nato dalla parte opposta a quella del potere e ha sempre seguito quella strada, senza condividerla con nessuno, pur avendo cercato in passato - coerente con la sua storia - di garantire la difesa del diritto dei lavoratori di potersi scegliere la propria organizzazione sindacale, ma senza percorsi comuni con chicchessia. Che ci volete fare, l’Usi è nato ed è un sindacato libertario e non è disposto a rinunciare alle proprie libertà di scelta, a denunciare il malaffare senza fare sconti a nessuno, a difendere disinteressatamente i più deboli. Nato con un'idea di un sindacato di mutuo soccorso, in cui ogni lavoratore può difendere i propri diritti grazie al sostegno, anche economico, degli altri, in cui ogni lavoratore ha diritto a servizi gratuiti, risposte, informazione e molto altro. In tutte le altre realtà, la ritenuta sindacale non è sufficiente, perché se si vogliono difendere i propri diritti o avere dei servizi, occorre pagare di tasca propria. Un sindacato, Usi-Ricerca, in cui la parola d’ordine è solidarietà. Il metodo è l’autodeterminazione e non le decisioni calate dall’alto.”
Usi-Ricerca, dunque, ha deciso di non partecipare alle prossime elezioni delle Rsu e di sospendere la quota associativa a carico degli iscritti. Due segnali forti, coraggiosi, difficili forse da far capire, in controtendenza apparente, ma di una semplicità disarmante, come il leitmotiv di queste mie considerazioni (da non confondere per “resa” ma a favore, sempre, di motivazioni etiche più elevate): giravoltapagina e sindacaresempre.