E’ un vero peccato che, gli sforzi intrapresi per costruire misure integrative o sostitutive del Pil, non abbiano portato finora a risultati concreti e siano state relegate ai margini dei processi decisionali.
Per molti anni ancora, la crescita continuerà ad essere valutata in termini di performance di produzione, trascurando la sostenibilità ambientale e il benessere sociale.
Se il dibattito politico deve continuare a incentrarsi sul Pil, vale allora la pena soffermarsi su uno dei suoi principali derivati, il reddito nazionale lordo, sulla base del quale – tra l’altro – si definiscono i contributi da pagare per il funzionamento delle istituzioni europee.
Il reddito nazionale lordo rappresenta l’insieme dei redditi da lavoro e da capitale conseguiti dai residenti di un territorio. La differenza con il Pil è dovuta ai flussi netti di reddito con il resto del mondo (ammontare dei redditi realizzati all’estero dai residenti di un Paese meno i redditi conseguiti dagli stranieri e inviati ai loro Paesi d’origine).
Per Piketty “i paesi ricchi sono ricchi due volte, sia in quanto a prodotto interno sia in quanto a capitale investito all’estero, il che consente loro di disporre di un reddito nazionale superiore al prodotto”.
L’affermazione sembra trovare conferma in Europa, dove il Pil e il Rnl nel 2013 sostanzialmente si equivalgono, ma le differenze tra i paesi sono notevoli. Il reddito nazionale lordo eccede il prodotto interno lordo solo in Germania (2,6%), in Francia (1,7%) e, al di fuori dell’eurozona in Svezia e Danimarca (+3,6%). La situazione è diametralmente opposta in Irlanda dove il 15% della produzione finisce in mani estere, come avviene anche nei paesi dell’Europa dell’est (figura 1)
In Italia, i flussi di reddito da e verso l’estero sono pressoché uguali (figura 2), ma la differenza tra Pil e Rnl è il frutto di dinamiche contrastanti.
I redditi da lavoro degli italiani all’estero (5,4 miliardi di euro nel 2014) sono in continua crescita (erano 1,5 miliardi nel 1995) e sono ben maggiori di quelli prodotti dagli stranieri presenti nel Bel Paese (1,8 miliardi). Il trend sembra confermare la sensazione che molti connazionali preferiscono sempre più cercare lavoro al di fuori dell’Italia.
Anche i redditi da capitale – esclusi gli interessi – fanno registrare un flusso positivo di 15 miliardi di euro, a testimonianza che gli italiani che detengono ricchezze prediligono gli investimenti all’estero.
A far defluire i redditi sono però gli interessi, in gran parte quelli sul debito pubblico, che nel 2014 sono costati più di 25 miliardi di euro, finiti nelle tasche di investitori stranieri. Un pesante fardello che impedisce all’Italia di avere un reddito nazionale lordo superiore al Pil.
Le disuguaglianze tra i Paesi non sembrano essere destinate in futuro a ridursi, anche se difficilmente riusciranno a raggiungere i livelli conseguiti nei primi anni del secolo scorso, quando il reddito nazionale del Regno Unito superava del 10% il prodotto interno, grazie allo sfruttamento delle colonie.
Le recenti acquisizioni da parte del gruppo tedesco Heidelberg Cement di una quota azionaria rilevante di Italcementi, una delle eccellenze industriali nostrane, o l’affidamento in gestione di 14 aeroporti regionali greci alla Fraport di Francoforte, a seguito del piano di privatizzazioni imposto con il piano di salvataggio, sono i segnali che in Europa si sta assistendo a un neocolonialismo che finirà per favorire ancora una volta i più ricchi.
Figura 1 – Rapporto tra reddito nazionale lordo e prodotto interno lordo nell’Unione europea – Anno 2013 (valori percentuali)
Fonte: elaborazioni su dati Eurostat
Figura 2 – Flussi di reddito netto con l’estero– Italia – 1995-2014 (milioni di euro)
Fonte: elaborazioni su dati Istat
* www.francomostacci.it
twitter: @frankoball
**L'articolo è apparso anche su Il Fatto Quotidiano del 2 settembre 2015