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Lunedì, 14 Lug 2025

L’ultimo bollettino della Bce contiene una interessante analisi che ci consente di farci un’idea assai più chiara del peso specifico del settore automobilistico nell’economia europea, premessa fondamentale per qualunque tipo di ragionamento.

Il settore, scrive la Banca, “contribuisce in misura significativa al valore aggiunto dell’economia dell’area euro”. In dettaglio, tale incidenza, misurata sul valore aggiunto reale del settore manifatturiero, è pari al 10%, mentre se usiamo il pil come denominatore, il settore pesa meno del 2%. Quindi il settore è un efficace strumento di trasformazione di beni intermedi, all’interno del settore manifatturiero, ma complessivamente il suo peso specifico nel pil, che è la somma di tutti i valori aggiunti in una economia, è modesto.

Se guardiamo all’occupazione, questo peso scende ancora. La Bce calcola che gli occupati del settore auto siano l’1% del totale degli occupati, mentre sul settore export, che è uno dei punti di forza dell’Eurozona, il settore auto pesa il 4%. Si tratta insomma di un settore importante, ma non certo di importanza eccezionale.

Gli andamenti recenti non sono eccellenti. Non si è più raggiunto il livello del 2018, mentre i concorrenti hanno avuto risultati di gran lunga migliori. 

 

Al tempo stesso non si è più raggiunto il livello di export del 2018, a differenza di altri concorrenti che lo hanno anche migliorato.

import export auto ezMolto di questi andamenti si spiegano con la graduale ma costante disaffezione dei consumatori (e delle norme che ne regolano la produzione) verso i motori a combustione. I veicoli ibridi, ad esempio, che erano un decimo del venduto nel 2018 l’anno scorso erano arrivati a pesare il 50% delle immatricolazioni. E il 2024 si è aperto con un calo del 20% delle immatricolazioni di auto, unico bene durevole verso il quale le famiglie sembrano attendiste. Forse perché sul futuro del settore pesa una notevole incertezza. Forse perché il costo delle auto è elevato.

La Bce, infatti, nota che la domanda “è stata frenata anche dagli aumenti innescati dalle interruzioni lungo le catene di approvvigionamento, dai rincari dei beni energetici e dalle condizioni di finanziamento restrittive”.

 

Complessivamente il settore auto europeo ha retto, compensando con le vendite di elettriche ed ibride il calo delle vendite nelle motorizzazioni tradizionali. La Cina ha guadagnato quote di mercato sull’elettrico, ma per lo più su piccole auto, e alla fine dei conti l’Eurozona rimane il secondo maggiore produttore di auto elettriche e ibride, con una notoria vocazione verso i modelli di fascia alta.

 

“Le case automobilistiche dell’area sono rimaste altamente redditizie, registrando stabilmente, nel 2022 e nel 2023, i margini di profitto netti più elevati tra i principali concorrenti a livello mondiale. Ciò dimostra la capacità di tenuta del settore nell’area dell’euro e il suo vantaggio competitivo nel mercato automobilistico mondiale”.

Diciamolo diversamente: le industrie automobilistiche europee hanno guadagnato bene e questo ha dato loro le risorse per investire nelle ulteriori fase di trasformazione tecnologica verso le quali ci sta conducendo la modernità.

In prospettiva, dice la Banca, ci si attende una ripresa della produzione, trainata dalla domanda dei consumatori dell’area (ammesso che abbiano le risorse), ma ci sono vari rischi all’orizzonte, sia derivanti dall’ampia dipendenza nei confronti di catene di fornitura estere per alcuni materiali come i semiconduttori, sia dalle tensioni commerciali crescenti fra i vari blocchi regionali.

Questi scenari prevedibili non dovrebbero impedirci di guardare al futuro del settore auto con un occhio un po’ diverso dal solito. Partendo dal presupposto che le industrie fanno benissimo a lottare per la loro sopravvivenza e i loro profitti, ciò che dovremmo chiederci noi abitanti dell’Europa è che tipo di mobilità vorremmo per il futuro e quante auto per le nostre strade, non soltanto con che tipo di motore. Dovremmo ricordare che stiamo invecchiando e che è poco saggio pensare che saremo in grado di guidare fino a 90 anni. Quindi dovremmo osservare i nostri giovani, capire se sono come noi, cresciuti a pane e motori, oppure no. E poi ricordare i numeri di oggi: 2% del pil, 1% di occupazione, 4% di export.

L’industria ovviamente investirà i suoi miliardi per costruire nuovi modelli da vendere a noi e all’estero, alimentando una corposa industria pubblicitaria, fra le tante altre cose. Ma forse evolversi significa anche imparare a capire cosa ci serve veramente per andare avanti. E non è detto che sia una nuova automobile che si guida da sola.

Maurizio Sgroi
giornalista socioeconomico
autore del libro “La storia della ricchezza”
Twitter @maitre_a_panZer
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