di Adriana Spera
All'esordio del Governo Monti, mentre i più osannavano l'arrivo dei tecnici salvatori della patria e dell'onorabilità italica agli occhi del mondo, fummo facili profeti nel dire che sarebbe stato un esecutivo in continuità con il precedente e che i provvedimenti proposti avrebbero peggiorato lo stato dell'economia.
Dopo cinque mesi, le nostre previsioni sono tutte confermate, gli indicatori economici sono tutti negativi, crescono disoccupazione, debito e spread, le diseguaglianze si sono accentuate.
L'aumento della pressione fiscale e i tagli sul welfare hanno pesato soprattutto sui più poveri che stanno peggio di prima, come conferma una ricerca di cui è coautore il nostro editorialista Franco Mostacci, pubblicata su lavoce.info e ripresa da Repubblica di domenica scorsa.
L'iniqua riforma sulle pensioni ha cancellato opportunità occupazionali per circa 200mila giovani. Un governo tecnico ultraliberista con i deboli e "protezionista" con i poteri forti come hanno dimostrato, dapprima il decreto sulle liberalizzazioni - che produrrà solo la svendita dei beni comuni e dei servizi pubblici, in barba all'esito della consultazione referendaria dello scorso anno - e, da ultimo, la "riforma" del lavoro.
Un provvedimento, quest'ultimo, che andrà a peggiorare ulteriormente quelle distorsioni che hanno prodotto la mancanza di competitività dell'economia italiana.
La cosiddetta flessibilità, introdotta dal pacchetto Treu e peggiorata dalla legge Biagi, prevedendo oltre 40 tipologie contrattuali e una precarietà diffusa (l'80% dei nuovi contratti) ha tolto professionalità ai lavoratori.
Fattori che, uniti alla mancanza di investimenti dell'imprenditoria italiana, di investimenti pubblici per infrastrutture e alla infiltrazione delle mafie nel tessuto economico, sono le vere cause della crisi di produzione. Altro che articolo 18.