di Roberto Tomei
La vicenda dei bandi concorsuali del Cnr, che si appalesano sartoriali, e di cui le scorse settimane si occupato ancora una volta Il Foglietto, non è che la punta dell’iceberg di un fenomeno che vede coinvolti Università, Enti pubblici, Enti locali, Aziende sanitarie locali et similia.
Trovarsi di fronte a procedure selettive pubbliche, ma anche interne, i cui bandi lasciano perplessi, se non addirittura basiti, è sempre più frequente. Sorgono così forti dubbi sulla serietà delle selezioni per accedere ai pubblici uffici che, è appena il caso di ricordarlo, sono previste dall’articolo 97 della Costituzione.
Sta di fatto che male operando nel nostro Paese si tende spesso a discriminare i migliori e quanto più ciò si verifica, tanto più si è costretti ad ascoltare le litanie sul merito, al quale, come ci dicono i sondaggi, quasi più nessuno si affida per realizzare le proprie legittime aspirazioni.
Da tutto ciò consegue, da un lato, lo scadimento della classe dirigente, alla quale si guarda ormai con crescente diffidenza e, dall’altro, il progressivo venir meno della fiducia dei giovani nelle istituzioni.
A questo punto sarebbe forse più serio, ma sicuramente meno oneroso, fare di necessità virtù. Anziché escogitare improbabili e inaffidabili procedure, rischiando per di più di finire nel grottesco, sarebbe meglio tagliare la testa al toro, riformando il citato articolo della Costituzione, prevedendo che l’accesso all’impiego pubblico avvenga non più per concorso ma per semplice chiamata diretta, alias nomina.
Se tale proposta sembra una provocazione, allora si torni al rispetto delle regole del gioco, che in ultima analisi è rispetto verso tutta la comunità dei cittadini.