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Martedì, 14 Mag 2024

di Adriana Spera

Il 9 settembre scorso, il Consiglio dei Ministri ha approvato, su proposta del presidente del Consiglio, Enrico Letta e del ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, Maria Chiara Carrozza, il decreto-legge dal titolo “L’Istruzione riparte” (pubblicato in  G.U. n. 214 del 12.9.2013) che, a dire del governo, getterebbe “le basi per la scuola e l’università del futuro, restituendo ai settori della formazione centralità e risorse”.

Ma non basta, sempre a detta della compagine governativa, il decreto servirebbe “a rendere effettivo il diritto allo studio, ad assicurare la tutela della salute nelle scuole, a ridurre le spese per l'istruzione, ad arricchire l'offerta formativa, a valorizzare il merito”. In pratica, una summa di contraddizioni.

Come si fa a rendere effettivo il diritto allo studio se si continua a guardare all'istruzione come ad una spesa da ridurre, anziché ad un investimento sul futuro e se si guarda  esclusivamente al merito, senza pensare alle diverse condizioni socio-economiche di partenza dei ragazzi? La Costituzione parla di pari opportunità e di diritto allo studio, non di spesa per l'istruzione né di merito. Inoltre, nel provvedimento, v'è solo qualche breve e confuso accenno alla ricerca, dato che anch'essa viene considerata esclusivamente una voce di spesa e non un investimento sul futuro del paese. Infatti, come noto, i fondi destinati alla ricerca libera di base per le università e per il Cnr hanno subito tagli costanti: si è passati da una media di 50 milioni l'anno ai 13 milioni per il 2012. Dai 100 milioni assegnati nel 2008-2009 a progetti biennali si è passati a 170 milioni per il biennio 2010-2011 ma per progetti divenuti triennali, per giungere a meno di 40 milioni nel 2012, sempre per progetti triennali.

Ma, soprattutto, quel che manca nel decreto-legge è un progetto complessivo sulla conoscenza, in  quanto si resta all'idea della scuola azienda e della ricerca come una branca della pubblica amministrazione e, come tale, un costo. Manca l'idea che vi debba essere un percorso che inizia fin dalla più tenera età, dall'asilo nido, e prosegue fino all'università e che quel percorso di apprendimento possa poi avere un naturale sbocco, per chi sia interessato, nella ricerca. Come si pensa di far ripartire il paese, di generare innovazione e sviluppo senza adeguate risorse e progetti in questo settore?

Nello specifico, nel decreto Carrozza si prevede di erogare la quota premiale del fondo di finanziamento degli enti di ricerca (almeno il 7% del Fondo totale) prevalentemente in base ai risultati ottenuti nel contestato procedimento di valutazione della qualità della ricerca (VQR).  L'art. 24, intitolato “Personale degli enti di ricerca” si limita a recitare: “Per far fronte agli interventi urgenti connessi all'attività' di protezione civile, concernenti la sorveglianza sismica e vulcanica e la manutenzione delle reti strumentali di monitoraggio, l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) è autorizzato ad assumere, nel quinquennio 2014/2018, complessive 200 unità di personale ricercatore, tecnologo e di supporto alla ricerca, in scaglioni annuali di 40 unità di personale, nel limite di una maggiore spesa di personale pari a euro 2 milioni nell'anno 2014, 4 milioni nell'anno 2015, 6 milioni nell'anno 2016, 8 milioni nell'anno 2017 e 10 milioni a partire dall'anno 2018” . Tuttavia, “l'approvazione del fabbisogno di personale,  la consistenza e le variazioni dell'organico strettamente necessarie” saranno disposte con decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, previo parere favorevole del Ministero dell'economia e delle finanze e del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione entro sessanta giorni dall'entrata in vigore del decreto”. Quindi, a fronte di oltre 400 ricercatori precari presenti all'Ingv, si prevede di assumerne solo 200, ammesso che superino le prove selettive. Con quali procedure? E' prevista una riserva di posti per quanti da anni sono precari a vario titolo all'interno dell'ente? Che fine faranno quanti non riusciranno ad essere stabilizzati dopo anni di servizio prestato? Analogamente, c'è da porsi le stesse domande per tutti gli altri enti di ricerca vigilati dal Miur a da altri ministeri, i quali nel linguaggio criptico del decreto “possono procedere al reclutamento per i profili di ricercatore e tecnologo, nei limiti delle facoltà assunzionali, senza il previo espletamento delle procedure di cui all'articolo 34-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001. n. 165”. In altri termini potranno evitare di passare per le liste di mobilità ma dovranno comunque rispettare i limiti previsti dalla legislazione vigente. Ma la ministra non aveva detto di voler chiudere una volta per tutte la brutta pagina del precariato?

Nonostante il gran rumore e i toni trionfalistici che hanno accompagnato il decreto Carrozza, nel complesso la ministra dimostra la miopia dei suoi predecessori da vent’anni a questa parte. La scuola è vista come un percorso minimo, tant'è che si continua a non prevedere il prolungamento dell'obbligo scolastico. Non si pensa alla qualità che certo non si raggiunge con l'ora di geografia, l'educazione alimentare o i progetti culturali con i musei o il wireless. Così come non si combattono le disuguaglianze con i libri in comodato d'uso agli studenti meno abbienti, e borse di studio di modesto importo. Può apparire apprezzabile l'avvio di iniziative contro la dispersione scolastica, ma poi si scopre che esse sono realizzabili “ove possibile” e “con particolare riferimento alla scuola primaria”, non investendo sui docenti ma, prevedendo che “le istituzioni scolastiche, possono avvalersi di associazioni e fondazioni private senza scopo di lucro”.

Tante le assunzioni: dirigenti scolastici, ispettori, 69mila docenti, 26mila di sostegno (attualmente vi sono 52mila alunni disabili) e 16mila Ata nel triennio. Ma tenendo conto dei posti vacanti e disponibili in ciascun anno e dei pensionamenti, perché – si legge nel comunicato di Palazzo Chigi – che “L'obiettivo è porre rimedio alla scopertura in organico che è di circa l’80%”. E, alla faccia delle pari opportunità, viene abrogata la norma che prevedeva il transito automatico dei docenti cosiddetti “inidonei” (per motivi di salute) nei ruoli amministrativi. Insomma, non si fa nulla per tornare ad un ragionevole rapporto numerico alunni/insegnanti e risolvere il problema delle cosiddette “classi pollaio”.

Credete, poi, che vi sia un piano nazionale di investimenti atto a sanare un patrimonio scolastico fatiscente e pericoloso, che potrebbe essere un volano per la ripresa economica? No, ci dovranno pensare le regioni con mutui agevolati.

Sono sì previsti 10 milioni, nel 2014, per la formazione del personale scolastico ma, fra l'altro, per rafforzarne le competenze in materia di percorsi scuola-lavoro. Il vero pallino della ministra sembra essere quello degli stage biennali nelle aziende, per tutti gli studenti della scuola superiore e universitari; li vede come percorsi di formazione e di ingresso nel mondo del lavoro. In realtà, sinora sono stati solo il mezzo per mettere gratuitamente a disposizione delle aziende forza lavoro.

Malgrado ciò, com'è ormai costume di questo governo, propagandisticamente il provvedimento è stato presentato come salvifico. Certo, dopo gli anni dei tagli della Moratti e della Gelmini, una piccola inversione di tendenza c'è, ma è ben poca cosa considerato che si deve ripartire dalle macerie. Serviranno queste risorse a tamponare l'emorragia di matricole negli istituti superiori e negli atenei italiani, risultato non solo delle serie difficoltà economiche ma anche di un sistema educativo in crisi, di una politica confusa, che ha prodotto solo provvedimenti altrettanto confusi e irrazionali? Finché si guarderà al sistema educativo e alla ricerca come ad un'azienda, temiamo proprio di no. Se tra i paesi dell'Ocse ci collochiamo al 34° posto per numero di laureati (19%) e di diplomati (33,9%) e autorevoli economisti continuano a ripetere che la crisi occupazionale dipende anche dal basso livello di istruzione, bisogna fare di più per uscire da un'ottica sbagliata, per ridare un futuro al paese.

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