Le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, con una sentenza n. 10627 del 15 maggio scorso (Pres. Rovelli, Rel. Amatucci), hanno esaminato un caso di utilizzazione indiscriminata di uno strumento di lavoro assai poco onorevole, che va sotto il nome di copia-incolla.
A fare scalpore non è stato tanto il ricorso alla pratica, assai più diffusa di quanto si possa immaginare, ma piuttosto la caratura di chi l‘ha utilizzata: nientemeno che un giudice.
Secondo gli Ermellini di piazza Cavour, utilizzare in modo totalmente indiscriminato lo strumento informatico del "copia-incolla" costituisce, per un giudice, illecito disciplinare.
Il giudice in questione, infatti, in un'ordinanza che si componeva di 244 pagine, con la quale disponeva misure cautelari nei confronti di nove indagati, ben 231 pagine riproducevano fedelmente la richiesta di misura cautelare presentata dai pubblici ministeri.
Il recepimento letterale delle considerazioni contenute negli atti di una o di entrambe le parti del processo - conclude la Cassazione - è bensì consentito se fatto per ragioni di economia processuale e di semplificazione, in funzione dell'accorciamento dei tempi di redazione dei provvedimenti giudiziari, ma occorre che la riproduzione sia manifestata e che la motivazione sia comunque supportata, pur se in modo non prevalente, da idonei spunti critici di ragionamento logico-giuridico propri del giudice, non potendo risolversi nel mero assorbimento dell'atto di parte mediante ricopiatura scannerizzazione e/o uso dello strumento informatico del "copia-incolla".