Con sentenza n.7082 del 2015, la II sezione penale della Corte di Cassazione è intervenuta a dirimere una controversia tra il proprietario di un edificio di notevole interesse storico-artistico e il padrone di un cane, che con la sua orina ne aveva imbrattato una parete.
Al centro della controversia il reato di cui all’art. 639, secondo comma, del codice penale, ritenuto sussistente dal giudice di pace ed escluso, invece, dal giudice monocratico del Tribunale.
Analizzando il caso in esame, la Cassazione ne ha sottolineato la particolarità, da un lato riconoscendo che il fatto, comunque assodato, ben può essere qualificato come ”imbrattamento”, dall’altro escludendo l’elemento soggettivo del reato, essendo del tutto inverosimile che l’animale sia stato indotto a sporcare il muro dal padrone, il quale – circostanza assai importante – si era anche preventivamente munito di una bottiglietta di liquido con la quale è prontamente intervenuto a pulire il muro.
Tali considerazioni, unitamente al fatto che ”in dibattimento non è emersa prova certa che il muro per effetto dell’orina del cane sia stato effettivamente imbrattato, in quanto era già piuttosto malandato”, hanno portato così alla conferma della sentenza del tribunale da parte del giudice di legittimità.
Come il primo, anche quest’ultimo ha escluso la sussistenza del reato di cui all’art. 639, secondo comma, c. p. che, essendo un delitto, è punibile a titolo di dolo, dato che questo è assolutamente estraneo alla fattispecie de qua, anche soltanto nelle meno gravi forme di dolo eventuale o colpa cosciente.
Insomma, anche per gli Ermellini di Piazza Cavour un cane resta pur sempre un cane, che quando esce deve fare i suoi bisogni e si può solo cercare di governarlo al meglio possibile, ma deve restare fermo che, quando si verifica un fatto come quello oggetto dell’imputazione, al massimo ci può essere colpa, tanto più se il conduttore dell’animale ha fatto del tutto per annullare ogni danno.