Tutti hanno appreso, con non poco ma comprensibile sconcerto, degli episodi in cui sono rimasti coinvolti alcuni magistrati: Silvana Saguto, presidente della Sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, che sembra aver fatto un uso distorto dei beni sequestrati ai mafiosi; Guglielmo Muntoni, omologo di Saguto a Roma, che, stando alle intercettazioni rese note dalla stampa, pare si sia offerto di “precettare i suoi amministratori” affinché chiamassero nell’amministrazione dei beni sequestrati il marito della stessa Saguto; infine, Anna Scognamiglio, giudice presso il Tribunale di Napoli, che sembra aver utilizzato il provvedimento relativo alla non applicabilità per il governatore della Campania della legge Severino al fine di aiutare il marito ad ottenere un prestigioso incarico in una Asl, sempre in Campania.
Tutte vicende di cronaca giudiziaria che offrono al popolo italiano, lo stesso in nome del quale sono emanate le sentenze, uno spaccato devastante dell’uso abnorme che un magistrato può fare degli atti giudiziari e che non possono non indurci ad amare riflessioni.
Nel ripensare alla ormai celebre distinzione, proposta dal dott. Bruno Tinti, tra magistrati “scalatori” e magistrati “spalatori”, siamo certi che la coscienza civile di tutti i cittadini non può che schierarsi dalla parte di questi ultimi, che tutti i giorni con onestà e abnegazione lavorano al solo scopo di emanare decisioni non solo in grande quantità, come ormai richiedono gli standard di produttività, ma anche e soprattutto “giuste”, cioè basate esclusivamente sullo studio degli atti e sull’applicazione della legge.
Sta di fatto che quest’immagine poco edificante della magistratura investe e travolge anche i magistrati “spalatori”. Eppure - per come le cose sono raccontate dai giornali, non avendo a nostra disposizione gli atti processuali - con la strumentalizzazione delle proprie funzioni che sembra essere stata operata dai magistrati di Palermo, Roma e Napoli, i poveri “spalatori” non solo non hanno niente a che fare, ma devono essere difesi da ogni immagine negativa, perché troppo curvati sui fascicoli per trovare il tempo di farlo da soli.
Quindi, non si può che invocare da parte del Consiglio superiore della magistratura, nella sua qualità di organo di autogoverno, la pronta adozione di provvedimenti che ridiano fiducia al popolo italiano e ai magistrati onesti, affinché, quando si pensa alla magistratura, non si pensi soltanto a coloro che ne compromettono l’immagine.