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Venerdì, 03 Mag 2024

Scriveva Don Milani in Lettera a una professoressa: “La scuola ha un problema solo. I ragazzi che perde ... A questo punto gli unici incompetenti di scuola siete voi (insegnanti) che li perdete e non tornate a cercarli”.

Da allora, correva l'anno 1967, molte cose sono cambiate e non sempre in meglio.

Di certo, se a quel tempo c'era un corpo docente talvolta classista, oggi, ci sono una scuola e un'università escludenti non certo per colpa dei docenti, molti dei quali si sono battuti per una scuola includente, ma di una classe politica che nell'ultimo quarto di secolo, con una serie di riformicchie, perlopiù dettate dalla classe imprenditoriale, ha trasformato l'istruzione e, quindi, la scuola, da diritto universale del cittadino a luogo di selezione e, persino, a fabbrica di lavoro a costo zero per le imprese, con i percorsi scuola-lavoro.

In tutte le cosiddette riforme che si sono abbattute sulla scuola si parla solo, e sempre più, di merito e non si affrontano i problemi sociali che sono alla radice del successo o dell'insuccesso scolastico e della dispersione scolastica.

“Riforme” accompagnate da un costante disinvestimento nelle politiche educative. Presentate con annunci roboanti ma povere di contenuti innovativi e di risorse. Addirittura, si è arrivati all'aggettivazione della legge (La buona scuola), ma la sostanza e il trend aziendalizzante non sono cambiati.

Risultato: la situazione è peggiorata, specie ove si consideri che sono passati 50 anni da Lettera a una professoressa e circa 70 dal varo della Carta Fondamentale, che sanciva il diritto costituzionale all'istruzione.

La dispersione scolastica è al 14,7 per cento (peggio di noi, solo Portogallo, Romania, Spagna e Malta) – ha confermato la ministra durante un'audizione parlamentare – con enormi divari fra Nord e Sud e, a livello più capillare, fra aree avvantaggiate e svantaggiate, centro e periferie delle grandi città, maschi e femmine, italiani e stranieri. Secondo l'ultimo rapporto Eurispes, se in Veneto la dispersione è all'8 per cento, in Sicilia e Sardegna si toccano punte del 24 per cento. Il tasso di abbandono tocca l'apice nel primo biennio delle superiori, a dimostrazione del fatto che per ridurre la dispersione scolastica bisognerebbe intervenire prima di tutto sul delicato passaggio fra scuola media e superiore.

Perché? A nostro giudizio, perché abbiamo una classe politica che non sa più immedesimarsi nelle condizioni di vita della parte più disagiata della popolazione, che ne ignora i problemi perché vive in una tale condizione di privilegio da dimenticare le difficoltà quotidiane che devono affrontare i “comuni mortali”.

Una situazione, questa, che emerge plasticamente dalle dichiarazioni rese negli scorsi giorni a Cernobbio dalla ministra Fedeli, nel corso dell'annuale Forum Ambrosetti, a proposito del basso numero di laureati in Italia (siamo i penultimi in Europa): "Una delle cause maggiori è la provenienza delle famiglie, famiglie con basso reddito che quindi poco spingono per la formazione universitaria di alto livello".

Una dichiarazione che verrebbe da commentare sempre con le parole di Don Milani: “Chi non sa amare il povero nei suoi errori non lo ama”. Parole che fanno pensare, a chi le ascolta, non solo che la ministra ignori il costo degli studi universitari, quanto a un sentimento tutt’altro che di attenzione nei confronti della parte più debole della popolazione, quasi una colpevolizzazione della povertà.

D'altra parte, che poveri ed esclusi non siano nell'agenda della classe politica lo dimostrano tutti i provvedimenti che vengono varati da anni.

La ministra non ricorda, né può ricordare, non avendo mai conseguito una laurea né un diploma che le consentisse l'accesso all'università, che fino agli anni '80-'90 i fondi per le borse di studio erano notevoli e riservati a chi aveva un basso reddito familiare, pure se uscito dalla scuola superiore con una votazione di 42/60, non ricorda che c'era un piano per la costruzione di case per gli studenti, che le tasse universitarie erano molto più basse, che le biblioteche universitarie erano numerose ed aperte, che non vi erano ridicoli quiz per accedere all'università.

La signora Fedeli, insomma, non ricorda che le pari opportunità di accesso all'università erano un po' più ampie prima delle scellerate politiche di tagli ai fondi universitari e delle disastrose riforme operate tanto dai governi di centro destra quanto da quelli di centro sinistra, che hanno ridotto allo sfascio quel che restava del sistema università.

E l'operato della cosiddetta sinistra, al governo e in parlamento, è stato tanto più grave proprio perché, nonostante si autodefinisca di sinistra, non ha restituito, stanziando adeguate risorse, quelle pari opportunità di accesso all'istruzione (non solo universitaria) che gli sconsiderati tagli di Moratti e Gelmini avevano sottratto ai cittadini.

Non saranno certo lo Student Act (che prevede sconti sulle tasse universitarie in base ai crediti conseguiti) coniugato alla striminzita, specie dopo il ricalcolo Isee dello scorso anno, NoTax Area (che stabilisce l'esenzione delle tasse universitarie per gli studenti e le studentesse meritevoli con Isee inferiore ai 13.000 euro), contenuti nella legge di Stabilità, a restituire maggiori opportunità di accesso agli studi universitari alla parte più debole della popolazione.

Provvedimenti, ancora una volta, aventi uno spirito esclusivamente meritocratico e non sociale. E così chi ha più difficoltà, magari perché per mantenersi agli studi lavora e finisce fuori corso, si vedrà accollare enormi sovra-tasse.

La NoTax Area, poi, è l'ennesimo esempio di 'gioco delle tre carte', perché, essendo il diritto allo studio una competenza prevalentemente regionale, di fatto è già esistente per una fetta di persone più larga di quella prevista dallo Student Act, in quanto, la maggior parte delle Regioni prevede per le borse di studio soglie Isee più alte dei 13.000 euro.

Ma anche questo la signora Fedeli, che magnifica questi provvedimenti, non lo sa.

La signora Fedeli, infine, forse non ricorda neppure che, “grazie” al Job Act, chi esce dall'università ha ben poche opportunità di lavoro stabile e ben retribuito. Per i più, la prospettiva è quella del precariato a vita, con anni di stage e tirocini non retribuiti.

La ministra e il governo ripartano dalla lezione di Don Milani: “Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora io dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri”.

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