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Sabato, 04 Mag 2024

Poiché la produttività declinante sembra la caratteristica del nostro evo economico, almeno nei paesi avanzati, è assai utile osservare cosa gli economisti tirino fuori dal loro cilindro per spiegare questo andamento che fa temere per la buona salute delle nostre economie. Fra le tante suggestioni diffuse di recente ne ho trovata una che vale la pena riassumere in poche righe perché mette al centro l’andamento demografico – il che di per sé non è una novità – ma, in maniera controintuitiva, collega la prevalenza di lavoratori in giovane età al declinare della produttività.

La studio è stato proposto dalla Fed di S.Louis, che ipotizza una relazione fra il baby boom iniziato nel dopoguerra e durato per gran parte degli anni ’50, quando negli Usa il tasso di nascite crebbe del 20%, e il calo robusto della produttività registrato nella prima metà degli anni ’70, ossia quando la generazione dei baby boomers entrò in attività. “L’ipotesi non è che il baby boom sia interamente responsabile – precisa l’autore – piuttosto che vi abbia contribuito”. D’altronde, come sa chi si occupa di queste cose, la produttività è un concetto complesso. Innanzitutto, perché si tratta di un rapporto che coinvolge categorie molto articolate, come quella di capitale e lavoro. Nel caso in esame, si analizza il concetto di prodotto pro capite, che si può definire come il rapporto fra le quantità prodotte e il numero dei lavoratori impiegati. I dati mostrano che questo indicatore oggi è tornato al minimo degli anni ’70. Da qui l’idea che la componente demografica abbia svolto un ruolo.

L’ipotesi alla base di questa teoria è che i lavoratori giovani siano meno produttivi in quanto meno dotati di capitale umano, ossia di ciò che deriva insieme dall’esperienza e dall’istruzione, che secondo le più diffuse teorie cresce da inizio carriera, raggiunge il picco fra i 50 e i 60 anni e poi inizia a declinare. Un lavoratore con maggiore capitale umano è più produttivo di uno che ne abbia meno e, quindi, i più giovani sono meno produttivi dei lavoratori più attempati.

Se si ammette come vera questa ipotesi, qualora la quota dei giovani sia relativamente maggiore dei più adulti nel numero degli occupati la produttività pro capite tende a diminuire. Per testare questa ipotesi, l’autore ha confezionato un grafico che mette in relazione la quota di lavoratori più giovani con la produttività.

fed etc3a0 giovane e produttivitc3a0

Come si osserva, al crescere della quota dei 25-33enni la produttività tende a declinare. La relazione è particolarmente visibile a partire dagli anni ’70, quando la generazione dei baby boom entrò nella popolazione attiva crescendo parecchio in percentuale rispetto al totale. Meno visibile, ma comunque presente, tale relazione sembra verificarsi anche negli anni più vicini a noi, quando la quota di giovani sul totale della popolazione attiva è tornata a crescere, anche se il trend declinante della produttività sembra risalire ad almeno un decennio prima. Sarà per questo che il nostro autore non si sbilancia troppo nel trarre conclusioni.

Rimane il fatto che osservare la composizione dell’età della forza lavoro può rivelarsi una buona intuizione, specie in società che invecchiano come le nostre. Perché se è vero che i giovani sono poco produttivi, anche gli anziani lo sono. E questi, a differenza dei giovani, sono destinati ad aumentare in futuro assai più di adesso.

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giornalista socioeconomico - Twitter @maitre_a_panZer

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