Venerdì scorso stavo dal medico per delle ricette. C'era una donna anziana di ceto popolare. Si lamentava della situazione del sistema sanitario pubblico. Essenzialmente perché, viste le lunghe liste di attesa, si vedeva costretta a ricorrere alle viste private a pagamento. Sempre che avesse i soldi necessari. Al tempo stesso il suo giudizio sui "politici" era spietato e privo di ogni speranza. "Tanto - diceva - so' tutti uguali: bianchi, verdi, rossi, gialli".
Nel mondo di prima, all'epoca dei vecchi partiti antifascisti e del Pci della "grande ambizione" togliattiana e berlingueriana, quando si sentiva dire "so' tutti uguali" uno capiva subito che dietro a chi così diceva si nascondeva sostanzialmente una persona di destra. Oggi, non è più così. Oggi dietro quell'espressione "qualunquista" c'è gran parte del popolo minuto che non va più manco a votare.
Questa è la questione centrale anche dopo i risultati elettorali di ieri in Emilia-Romagna e in Umbria.
De Pascale, campo larghissimo, erede di Bonaccini e sindaco di Ravenna, ha vinto in Emilia con quasi 17 punti di vantaggio sulla candidata della destra Ugolini, ma l'affluenza alle urne è stata solo del 46,42% in una Regione abituata a ben altre e più alte affluenze al voto. In Umbria, la candidata anche qui del campo larghissimo, ma dal volto civico sindaca di Assisi ha superato di gran lunga la leghista Tesei scalzandola da governatrice. Circa cinque punti di vantaggio, 51,13% contro il 46,17, all'indomani in cui i sondaggi davano tra le due un testa a testa sul filo di lana. In ambedue le Regioni, il Pd vola rispettivamente al 42,94% e al 30,23, facendo esultare Elly Schlein. Anche in Umbria l'affluenza è stata bassa, forse un po' drogata rispetto all'Emilia dall'incertezza dello scontro, sta di fatto che si è fermata al 52,3%. Quasi sei punti di più. Ma, secondo la proprietà commutativa applicata alla politica, cambiando l'ordine dei fattori il risultato non cambia.
Naturalmente, la vittoria del campo larghissimo a portata progressista è una buona notizia. La destra post fascista esce sconfitta, la sinistra a trazione civico-cattolica riconquista una ex Regione rossa e conferma con larghezza quella che aveva. Ci sarà tempo per gli attori politici, partiti e liste, fare analisi approfondite sui rispettivi risultati. Alcuni, già se ne sentono, sconfinanti nel solito politicismo d'accatto. Dentro al risultato generale del campo progressista il M5s non va bene e vedremo ciò quali conseguenze avrà nella fase costituente di questo fine settimana e come influirà sullo scontro Conte-Grillo. Nell'altro campo la cosa da registrare è che la Lega va malissimo e FdI della Meloni deve ridimensionare un bel po' le sue ambizioni almeno in quei territori.
Comunque, pur positivi, non sono risultati da indurre a dire che "il vento sta cambiando" come fece incautamente la Schlein dopo le elezioni sarde e alla vigilia di quelle abruzzesi.
I limiti e la provvisorietà di questa vittoria non devono indurre sonni tranquilli in tutto il campo antifascista e, particolarmente, in quello potenzialmente progressista e di sinistra.
L'astensione dei ceti popolari, il superamento della loro sfiducia nella possibilità di cambiare è un obiettivo imprescindibile, legato alla costanza di battere sulla questione sociale: sanità, scuola, trasporti, pensioni, povertà, decrescita economica "infelice", crisi industriali, transizione ecologica "cum grano salis", con proposte unitarie e iniziative credibili
Forse questo non sarà sufficiente a smuovere verso le urne quella vecchietta incontrata dal medico, ma per tanti altri giovani e meno giovani che giacciono con quello stesso stato d'animo, sì.
Se si vuole cacciare dal governo dell'Italia i post fascisti.
Aldo Pirone
scrittore e editorialista
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