Vi segnaliamo la nascita del sito Volere la luna, al timone del quale, per ora, vi sono Alessandra Algostino, Giorgio Barberis, Ezio Bertok, Valentina Pazè, Livio Pepino, Fulvio Perini, Francesca Rascazzo, Marco Revelli e Jacopo Rosatelli.
Questo il “manifesto programmatico” scritto da Tomaso Montanari: Volere la luna è capire che il mondo non si divide in italiani e stranieri. Ma «in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro». E volere la luna significa affermare, con i fatti, che «gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri» (Don Lorenzo Milani).
Volere la luna vuol dire credere ancora, e più di prima, che è «compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (Costituzione della Repubblica, art. 3). E volere la luna è ricordare che la Repubblica siamo tutti, e ciascuno: e, dunque, rimbocchiamoci le maniche.
Volere la luna significa pensare che fare solidarietà è fare politica. Che fare la pace è fare politica. Che fare eguaglianza tra i generi è fare politica.
Volere la luna è pensare che la politica serva a cambiare la vita di tutti: non solo di chi la fa.
Volere la luna vuol dire ambire, e costruire, un mondo diverso: dove cercare il senno che questo mondo ha smarrito, come Orlando. Perché «altri fiumi, altri laghi, altre campagne / Sono là su, che non son qui tra noi / Altri piani, altre valli, altre montagne» (Ludovico Ariosto).
Volere la luna vuol dire pensare che i fiumi, i laghi, le campagne, i piani, le valli e le montagne di questo mondo siano un bene comune. Che non si possono distruggere con Grandi Opere inutili: perché vogliamo invece tramandarli a chi, domani, vorrà la luna.
Volere la luna significa combattere e sconfiggere ogni fascismo: quello vecchio che non è mai morto, quello nuovo che torna – e torna al governo.
Volere la luna: e non rassegnarsi, quando non te la danno. Come Pietro Ingrao: che da bambino chiese la luna a suo padre. E non smise di volerla per tutta la sua lunga vita.
Volere la luna: cioè costruire una democrazia che non si riduca a oligarchia o a plebiscito. Una democrazia che non pensa di salvarsi emarginando il dissenso e truccando le carte in nome della governabilità, ma che si salva con più democrazia, più rappresentanza, più partecipazione.
Volere la luna: quella vera. Non tutte le false lune che ci vengono vendute. «Stupido, ti riempiamo di ninnoli da subito / In cambio del tuo stato di libero suddito / No! / È una proposta inopportuna / Tieniti la terra uomo / Io voglio la luna / Io non sono nero / Io non sono bianco / Io non sono attivo / Io non sono stanco / Io non provengo da nazione alcuna / Io, sì, io vengo dalla luna» (Caparezza).
Volere la luna. Quella in cui «tutti i cittadini sentiranno nella scuola il presidio della Nazione» (Concetto Marchesi). Una nazione per via di cultura: e dunque aperta a tutti coloro che vengono in pace. E che, venendo, la cambieranno: così che «fiorirà la giustizia e abbonderà la pace, finché non si spenga la luna» (Salmo 71).
Volere la luna per stare con i piedi saldamente piantati per terra. Perché è «bellissima cosa, e mirabilmente piacevole, vedere il corpo della Luna…: con la certezza della sensata esperienza chiunque può comprendere che la Luna non è ricoperta da una superficie liscia e levigata, ma scabra e ineguale, e, proprio come la faccia della Terra, piena di grandi sporgenze, profonde cavità e anfratti» (Galileo). Guardare la luna non vuol dunque dire immaginare una terra perfetta: ma imparare a governarla, per renderla meno «scabra e diseguale».
«Volere la luna significa proporsi quello che può sembrare impossibile a molti, ma che in realtà dovrebbe essere normale: cambiare radicalmente il proprio modo di essere, di pensare, agire, cooperare e aggregarsi, tenendo fermi i valori di riferimento di un solidarismo radicale. Il mondo è cambiato, è ora di cambiare noi stessi. E il nostro modo di stare insieme. A cominciare da tre obiettivi primari: contrastare le diseguaglianze, promuovere ma soprattutto praticare forme di partecipazione solidale, favorire la rinascita di un pensiero libero e critico. Cioè non limitarsi a proclamare i propri valori, ma praticarli concretamente, con azioni positive quotidiane, creazione di occasioni di prossimità, di spazi, anche limitati, di relazione, di strumenti di comunicazione aperti e critici» (dallo statuto di «Volere la luna»).
Volere la luna, dunque, vuol dire cambiare noi stessi per cambiare le nostre città; cambiare l’Italia per cambiare l’Europa e per cambiare il mondo. Con il tempo che ci vorrà: senza scorciatoie, leader carismatici o partiti estemporanei.
«Forse s’avess’io l’ale / Da volar su le nubi, / E noverar le stelle ad una ad una, / O come il tuono errar di giogo in giogo, / Più felice sarei, dolce mia greggia, / Più felice sarei, candida luna» (Giacomo Leopardi).
Volere la luna è costruirsi queste ali. Insieme.