Roma senza il Papa. La repubblica romana del 1849 di Giuseppe Monsagrati, Laterza, Bari, 2014, pp.252, euro 20.
Recensione di Roberto Tomei
Il libro ripercorre le vicende di un’esperienza, quella della repubblica romana del 1849, durata lo spazio di un mattino e tuttavia di importanza cruciale per il nostro Risorgimento.
Tra la fuga di Pio IX a Gaeta, dove era riparato anche Ferdinando II, re delle Due Sicilie, e la restaurazione dell’autorità dello Stato Pontificio ad opera dei Francesi, la sonnolenta città di Roma fu pervasa da un moto di patriottismo, in qualche modo assecondato dallo stesso Pio IX, che, lasciando intendere che avrebbe appoggiato la guerra contro l’Austria, generò non poca confusione tra i patrioti e gli uomini di Chiesa.
Ma di fronte al ’48 (numero da allora entrato in circolo a significare una fase di grande agitazione) la favola del papa liberale, quasi una contraddizione in termini, era destinata a dissolversi, lasciando un vuoto che Mazzini, con Saffi e Armellini, si affrettò a riempire.
Del resto Roma- come scrive Monsagrati - “senza tradizioni di monarchia (quella papale era del tutto atipica) era la sola città in cui, caduto il papato, la repubblica potesse nascere come se fosse la cosa più naturale del mondo”.
L’autore sottolinea come della breve stagione repubblicana due eventi siano particolarmente degni di nota. Da un lato, l’enorme libertà di cui godette la stampa, simboleggiata dalla grande diffusione del settimanale satirico “Don Pirlone”; dall’altro, la grande partecipazione popolare, assolutamente senza precedenti in Europa, alle vicende della politica, con 250.000 votanti, su 750.000 aventi diritto al voto, per nominare i membri dell’Assemblea Costituente.
Se, caduta la Repubblica, i romani ritornarono alla vita di sempre, “rapidamente riconciliandosi con il nuovo ordine di cose”, nondimeno il seme della libertà era stato ormai gettato. Poco più di vent’anni dopo se ne sarebbero visti i frutti.