di Luca Marchetti
Father and Son di Kore-eda Hirokazu, con Masaharu Fukuyama, Machiko Ono, Lily Franky, Keita Ninomiya, Shogen Hwang, durata 121', nelle sale dal 3 aprile 2014 distribuito da BIM.
Dopo aver incantato all’ultimo Festival di Cannes il presidente della giuria Steven Spielberg (che ha voluto assegnargli un premio speciale, oltre che opzionarne i diritti per un eventuale remake americano) e dopo essere stato proiettato al Macro lo scorso novembre, in un omaggio particolare al suo autore, arriva finalmente in Italia, grazie all’impegno della Bim, Father and Son di Hirokazu Kore-eda.
Dimenticato presto il furbo titolo italiano (con il suo incongruo riferimento alla celebre canzone di Cat Stevens) Soshite chichi ni naru, conferma a pieno l’incredibile talento del regista Kore-eda. Poco conosciuto dal grande pubblico italiano, il cineasta giapponese racconta ancora una volta un’altra commovente favola di sentimenti, dove le emozioni vengono trasmesse con una forza inaudita.
Il film narra la vicenda paradossale di Ryota e Midori, una giovane coppia borghese, costretta a vedere stravolta la propria quotidianità nel momento in cui scopre che il suo bambino Keita, verso il quale proietta tutte le aspettative, è in realtà il figlio di un’altra coppia, scambiato nella culla dell’ospedale da un’infermiera negligente.
Da questa notizia la loro vita cambierà e soprattutto per l’uomo, papà esigente e poco affettuoso, inizierà un duro periodo di dubbi e incertezze.
Kore-eda, nonostante il grande e ricco numero di personaggi messo in scena (perfetti i due giovanissimi attori/bambini, sempre naturali e convincenti), proprio attraverso l’odissea emotiva dell’architetto Ryota (l’ottimo Masaharu Fukuyama) si prende l’occasione per riflettere sul concetto di famiglia e sui confini biologici o emotivi del rapporto genitore-figli.
Senza alcun effetto speciale narrativo ma solo attraverso una scrittura semplice e immediata, il cineasta sembra quasi recitare una poesia, una sorta di preghiera laica, dove l’ostentazione e il sovreccitamento emotivo (espedienti tanto cari al cinema nostrano) sono sostituiti dal pudore e dalla misura.
Sfidiamo chiunque a rimanere impassibili di fronte alle sofferenze dei piccoli Keita e Ryusei, catapultati in due case e in due famiglie sconosciute, o a non commuoversi a contatto con la lenta e inesorabile presa di coscienza di Ryota, diventato solo alla fine davvero un padre.
La semplicità con cui Kore-eda racconta tutto e, allo stesso tempo, l’incredibile forza delle sue immagini, rendono Father and Son un film importante e unico, capace di parlare all’anima di un pubblico internazionale, una di quelle pellicole che raramente capita di vedere.
Dopo la proiezione, se davvero avete un cuore, non sentirete il bisogno di vedere nient’altro.