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Mercoledì, 03 Lug 2024

“Birdman”, di Alejandro González Iñárritu, con Michael Keaton, Edward Norton, Emma Stone, Naomi Watts, Zach Galifianakis, Amy Ryan, Merritt Wever, Joel Garland, Clark Middlelton, Bill Camp, Dusan Dukic, Andrea Riseborough, , durata 119’, nelle sale dal 5 febbraio 2015, distribuito da 20th Century Fox.

Ne abbiamo già parlato diverse volte.  Alcuni autori credono che il Cinema non debba essere l’intrattenimento puro o lo strumento perfetto per regalare qualcosa al proprio pubblico.

Registi, come Alejandro Iñárritu, sono convinti che dirigere film sia utile fintanto che permetta loro di dare sfogo alla propria incontrollabile ambizione, di fare sfoggio onanistico della propria presunta bravura. Birdman, già dal suo pedante e lungo sottotitolo, dimostra di muoversi nel campo dell’autoriferito, dell’esercizio di stile ostentato a prova di forza, a colpi di genio.

Presentato come film d’apertura all’ultimo festival di Venezia e diventato lentamente il front-runner della prossima edizione degli Oscar (dove dovrà vedersela con un altro giocattolo cinematografico come Boyhood di Richard Linklater), Birdman è la storia tragicomica di un ex attore di successo, pronto a esordire a teatro con un’opera impegnata, per riscattare il proprio passato godereccio di divo di film commerciali.

Iñárritu, per raccontare con cinismo e cattiveria questa parabola, non solo decide di svilupparla lungo un infinito, falso e irritante pianosequenza (come a scimmiottare la caratura intellettuale di un Sokurov) ma mette in scena un insieme di trovate narrative così sciatte e inconcludenti e un gruppo mal scritto di personaggi cosi fastidiosi, da rendere la sua pellicola un’opera profondamente respingente.

Guardando apertamente alla carriera di Robert Altman (esplicitato dal riferimento a Raymond Carver) e alla sua ineguagliabile bravura nel dirigere gli attori e nel farli danzare davanti ai nostri occhi, il regista messicano crede che basti lavorare con un cast di grandi attori, cucirgli sopra dei personaggi assurdi e affogarli nella perfezione artificiale di un’ottima confezione, per fare un grande film.

Tra i deliri di un Edward Norton sopra le righe e le comparsate di tanti attori eccellenti (Zach Galifianakis o Amy Ryan, per fare due nomi) limitati in ruoli marginali, ben poco possono fare il talento artistico di un maestro come Emmanuel Lubezki (direttore della fotografia e vero demiurgo del cinema messicano d’importazione) o le performance sentite di una splendida Emma Stone (alla prima prova adulta della propria carriera) e di un ritrovato Michael Keaton.

Soprattutto l’attore, forte di una biografia sovrapponibile a quella del suo Riggan, cerca di liberare il proprio personaggio dai legacci imposti dalla storia, dalle schizofrenie mal celate e dagli invadenti fantasmi orchestrati dal regista, al fine di volare libero, orgoglioso di dimostrare a un mondo (Hollywood e non solo) la forza di un attore tornato da un esilio forzato. Forse proprio questo cortocircuito emotivo tra attore e protagonista, sempre in continua sostituzione/confusione, è la vera anima del film, il lato emozionante della vicenda di Birdman.

Peccato che la miopia di un autore troppo interessato a pensare a tutto eccetto che alla sua trama, sprechi in malo modo questa interessante opportunità.

*critico cinematografico

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