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Mercoledì, 03 Lug 2024

Che oggi si viva in democrazia è fuori discussione. Dunque, chi vuole instaurare l’oligarchia non può farlo apertamente, ma solo mascherandosi. E’ questo il tema centrale di un  dialogo, che poi ne tocca tanti altri connessi, tra Gustavo Zagrebelsky e Luciano Canfora, riportato in un volume a cura di Geminello Preterossi, pubblicato da Laterza, appunto col titolo “La maschera democratica dell’oligarchia”.

Diversamente che in passato, il termine oligarchia ha oggi una valenza negativa, in quanto “la materia della politica oligarchica è costituita dal denaro e dal potere, e dal loro collegamento”, dato che “l’uno è strumento di conquista, di garanzia e di accrescimento dell’altro”. Ciò significa che la materia della politica non è  l’interesse collettivo.

Guardando all’oggi, lo spazio politico è occupato da una grande oligarchia, che fa quadrato rispetto all’esterno e, all’interno, si rinnova per cooptazione e fidelizzazione. Di fatto, negli ultimi due secoli, vale a dire dal fatidico 1789, solo i partiti operai, in quanto rappresentanti degli esclusi, hanno cercato di rompere gli equilibri consolidati, ma da un certo momento in poi anch’essi sono stati assorbiti “dentro il gioco”.

Nel sistema politico attuale, la regola di funzionamento è data perciò dall’autoconservazione attraverso la cooptazione, l’esatto opposto di ciò che si racconta ai cittadini, cui si fa credere di avere il diritto di “rovesciare tutto e ricominciare da capo”. Poiché non ci sono più opinioni in conflitto, la vita pubblica si riduce alla gestione dell’esistente e alla salvaguardia delle posizioni acquisite, per l’appunto il terreno di coltura delle oligarchie.

Basta guardare a quanto è accaduto da noi in questi due anni, a partire dalle ultime elezioni politiche. Prima siamo stati circondati da “saggi”, poi si sono magnificate le larghe intese, subito rimpicciolitesi, infine tutto ha cominciato a ruotare intorno alla legge elettorale, virtualmente preordinata a garantire ”la governabilità”, ma che non garantisce proprio niente, almeno fino a quando i parlamentari resteranno liberi di cambiare casacca (negli ultimi due anni l’hanno fatto in 175!). Tanto astratta quanto imperiosa, al pari  di altre parole d’ordine (lo chiedono “i mercati”, l’”Europa”, lo “sviluppo”, la “concorrenza”), la governabilità altro non è che lo strumento per consegnare alle segreterie dei partiti la nomina degli eletti, francamente troppi per la coalizione che incassa il premio di maggioranza, col paradosso che gli eredi della lotta contro la legge truffa oggi si sbracciano in favore del maggioritario.

Difficile pensare a un sistema più oligarchico di questo, che calpesta il principio del suffragio universale: un uomo, un voto. Ma c’è di più. Quando le oligarchie di vario tipo intravedono che il popolo può contare qualcosa o c’è qualcuno che lo sollecita a contare, subito tirano fuori l’accusa di populismo, come se democrazia non significasse proprio governo del popolo.

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