“Blackhat”, di Michael Mann, con Chris Hemsworth, Viola Davis, John Ortiz, William Mapother, Manny Montana, Ritchie Coster, Holt McCallany, Jason Butler Harner, Spencer Garrett, Wei Tang, Brandon Molale, Yorick van Wageningen, Archie Kao, durata 135’, nelle sale dal 13 marzo 2015, distribuito da Universal.
A scanso di equivoci, lo diciamo da subito: quando si parla di Michael Mann, ci è quasi impossibile essere parziali. Forse perché alcune delle pellicole del regista americano hanno segnato la nostra vita di spettatori, forse perché non possiamo fare a meno di considerarlo uno dei cineasti più decisivi del panorama mondiale, sta di fatto che ogni pellicola di Mann è un’epifania. Blackhat, come ci immaginavamo, non tradisce le attese.
Dopo nove anni di attesa dall’epopea tragica di John Dillinger raccontata nel meraviglioso Nemico Pubblico, Michael Mann entra nel mondo del cyber-terrorismo con un noir sui generis, un crime-movie che cerca di piegare gli stereotipi del genere a temi e forme inedite.
Le indagini dell’hacker “buono” Nick Hathaway e della sua task force cinese-americana alla ricerca del misterioso pirata informatico Sadak, dunque, omaggiano continuamente sia i noir più classici (dagli heist-movie americani al cinema action di Hong Kong, passando per i tour mondiali alla James Bond), sia lo stesso cinema di Mann (i riferimenti evidenti sono tanti, tutti da scoprire), senza però privarsi del coraggio di attraversare strade nuove, preferendo la dilatazione dei tempi alla frenetica ottusità dei più scontati blockbuster.
In Blackhat il regista, mai come questa volta, rende tragico il conflitto tra uomo e tecnologia, con la rete invisibile di denaro, informazioni e dati diventata per la prima volta l’unico terreno di scontro.
Se la lotta dell’Uomo contro la Modernità, con i suoi violenti esiti, è sempre stata un leitmotiv nell’opera di Mann, nella sua ultima pellicola questa diventa il centro nevralgico della storia, la struttura base su cui si appoggiano i destini emotivi dei protagonisti, la loro ostinata determinazione a seguire i propri obiettivi, a dare un significato alle proprie esistenze.
L’Hathaway di Chris Hemsworth, come molti altri eroi manniani, è un uomo destinato all’autodistruzione, così fieramente consapevole di saper fare solo una cosa nella vita, da essere disposto a sacrificare tutto per avere la libertà di farla. E’ proprio la coscienza della dannazione a rendere ogni istante dei film dell'autore di Heat-La Sfida così tragicamente grandiosi.
Blackhat, pur non brillando per verosimiglianza narrativa o per linearità, conserva dentro di sé, appunto, la forza di questa epica del fallimento, la commozione di grandi storie d’amore dal futuro incerto, forse impossibile. Inoltre, nonostante i suoi settantadue anni di età, la mano del Maestro non perde un colpo: inquadrature perfette, città fotografate da perdere il fiato, sequenze action orchestrate come solo pochi altri registi riescono a fare (le due sparatorie cinesi meritano da sole il prezzo del biglietto), sono solo alcune delle prove della riuscita di un grande film.
Anche la tanto criticata scelta del divo Chris Hemsworth nei panni del protagonista, nonostante l’oggettiva legnosità dell’attore, dimostra l’intelligenza e la non-banale visione del Cinema di Michael Mann.
Probabilmente Blackhat è un anti-action movie non adatto a tutti e, anche in Italia, non avrà il successo che merita.
Se, però, avrete la forza di lasciarvi trascinare nel suo mondo, a metà tra la fredda materia dei computer e le calde passioni degli uomini, siate certi che vi ritroverete di fronte attimi di grande Cinema.
*critico cinematografico