Le streghe son tornate, di Alex de la Iglesia, con Javier Botet, Mario Casas, Santiago Segura, Carolina Bang, Carmen Maura, Hugo Silva, Carlos Areces, Secun De La Rosa, Pepón Nieto, durata 104’, nelle sale dal 30 aprile 2015, distribuito da officine Ubu.
Alex de la Iglesia è un regista che ha costruito un’intera fortunata carriera sul grottesco e sull’osceno. Dopo l’acclamazione per molte delle sua pellicole più note e sopravvalutate (si pensi a Ballata dell’odio e dell’amore, vincitore di ben due premi al Festival di Venezia e considerato il compendio finale della poetica del suo autore), il regista basco torna al cinema con Le streghe son tornate.
Già presentata nel 2013 al Festival di Roma, la pellicola si apre con una tragicomica rapina ai compro-oro della centralissima Puerta del Sol di Madrid, ad opera di una scalcinata banda di rapinatori travestiti da mimi di strada (c’è il Cristo argentato con corona di spine, il soldato verde di plastica, Spongebob…), intenzionati a dare una svolta alle loro disastrate vite.
La fuga dalle forze dell’ordine, con ostaggio e bambino al seguito, li porterà in Navarra, nel villaggio di Zugarramurdi, dove una congrega di streghe sta per preparare il loro sabba definitivo. De la Iglesia è un autore che si è sempre divertito a giocare sull’assurdo, a portare la sua grassa ironia sempre ai limiti dell’eccesso, del fastidio.
Assunto a “artista impegnato”, grazie agli elogi di molti critici e appassionati, facilmente disorientati dalle sue facili metafore concettuali (oggi i misogini finiti in pasto alle streghe, ieri i clown mostruosi simboli del regime franchista), de la Iglesia non riesce mai a trovare un giusto equilibrio.
Troppo interessato a inseguire il proprio gusto personale, a divertire solo se stesso e il gruppo di consolidati amici-attori (dalla bellissima compagna Carolina Bang, ancora una volta protagonista, ai sodali di sempre Santiago Segura e Carlos Areces), il regista si perde dentro l’ennesimo presuntuoso gioco al massacro travestito da “intelligente” e dissacrante omaggio alla Donna, ben rappresentato dai titoli di testa (da sempre le parti più riuscite dei film di de la Iglesia), e lascia la sua opera girare tristemente a vuoto.
L’orrore compiaciuto con cui gioca l’autore non può davvero sconvolgere e attrarre lo spettatore più attento, consapevole di quanto il Cinema del regista spagnolo sia stato sorpassato da destra e da sinistra da cineasti più coraggiosi, intelligenti e divertenti (da Guillermo del Toro a Rob Zombie, passando per Juan Antonio Bayona).
Questo divertissement stanca quasi immediatamente e i suoi tentativi ottusi e pedanti di sorprendere, turbare e stuzzicare, sempre con le stesse trovate sporche e le stesse battute ammiccanti, non fanno che sfinire il pubblico esausto.
Neanche lo spettacolo opulento, le soluzioni visive magniloquenti e un mostro sacro del cinema spagnolo come Carmen Maura, possono salvare una pellicola così dal disastro di un fallimento annunciato.
*critico cinematografico