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Mercoledì, 03 Lug 2024

altInteso come prevedibilità (da parte del cittadino) delle conseguenze che il diritto riconnette all’azione del soggetto, il principio di legalità è sempre stato veicolato e percepito alla stregua di un cardine essenziale e ineliminabile dell’ordinamento giuridico.

Un qualcosa, insomma, di dato e indiscutibile, destinato a valere fuori da qualsivoglia condizionamento spaziale e temporale. Questo autentico totem viene ora sottoposto a critica da un finissimo storico del diritto, attualmente giudice costituzionale, che già in passato ci ha regalato altri studi memorabili, tutti veramente da leggere e meditare.

Stiamo parlando di un autore del calibro di Paolo Grossi e della sua ultima fatica, intitolata Ritorno al diritto, in libreria dal mese scorso nella collana Saggi tascabili dell’editore Laterza.

Dove ritorno al diritto sta a significare recupero della relazione che vincola il diritto alla società e alla storia, secondo quel che è stato il più grande lascito di Santi Romano, da tutti a parole condiviso e celebrato ma da pochi in concreto assorbito e fatto proprio.

E’ proprio questo recupero che sancisce il definitivo tramonto del principio di legalità per come ci è stato insegnato e trasmesso, tenendo ben presente però che si tratta di un processo tutt’altro che compiuto, ma che si va tuttora compiendo in questa nostra epoca di transizione, iniziata ormai con l’avvento del secolo scorso.

Il libro si articola così in tre saggi: il primo traccia il disegno generale della transizione novecentesca; il secondo approfondisce il punto nodale di questa transizione, vale a dire il superamento dell’astrattezza e purezza del diritto, quale conseguenza della riscoperta della sua greve fattualità; il terzo avvia una riflessione, da un lato, sulla certezza del diritto quale bene sommo della strategia legalistica moderna e, dall’altro, sulle incertezze che caratterizzano l’attuale esperienza giuridica.

A segnare in modo penetrante la crisi della vecchia legalità è stato senz’altro l’avvento delle Costituzioni, così come un’altra fucina dove si va forgiando un “diritto di principi” è rappresentata dall’Europa, attraverso l’opera della Corte di giustizia. E ai principi fa riferimento ormai la stessa legislazione, come dimostra il recente Codice del processo amministrativo, che per il rinvio a principi e concetti giuridici indeterminati sembra da considerare una consolidazione piuttosto che una codificazione.

Principi generali che non si limitano a dialogare con la legge, ma tendono a imporsi sulla legge, onde l’attività ermeneutica si trasforma nel momento più rilevante, giacché è quello che determina il disciplinamento della fattispecie. Si capisce così il ruolo centrale rivestito dal giudice, l’interprete per eccellenza, mentre forza creatrice del diritto vengono sempre più acquistando la scienza giuridica e il lavoro alto di avvocati e notai culturalmente e tecnicamente ben forniti.

Atteso il “variegato ventaglio di forze motrici su cui oggi conta il dinamico ordinamento giuridico della Repubblica”, può dirsi, secondo Grossi, che il principio di giuridicità ha preso ormai il posto del vecchio principio di legalità, relegandolo a mera reliquia storica.

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