Creed – Nato per combattere, di Ryan Coogler, con Sylvester Stallone, Graham McTavish, Michael B. Jordan, Tessa Thompson, Phylicia Rashad, Mark Rhino Smith, Brian Anthony Wilson, durata 133’, nelle sale dal 14 gennaio 2016, distribuito da Warner Bros.
Recensione di Luca Marchetti
Creed – Nato per combattere è, prima di tutto, un film che parla al cuore. Da vero appassionato della saga di Rocky, Ryan Coogler, giovane regista acclamato dalla critica con il suo non perfetto esordio Prossima fermata: Fruitvale Station, aveva già dai tempi della scuola di Cinema cullato il sogno di realizzare questo progetto.
L’idea di raccontare i combattimenti sul ring di Adonis, figlio di Apollo Creed, lo storico amico/rivale di Rocky Balboa, ossessionava il cineasta. Dopo aver inseguito e corteggiato Sylvester Stallone per molti anni, e dopo averlo convinto di essere il miglior depositario possibile della sua eredità, Coogler, insieme al suo sodale Micheal B. Jordan, è riuscito a realizzare questo sogno.
Creed è, dunque, una pellicola fatta principalmente di emozioni, costruita sul desiderio cocente di raccontare un altro capitolo di una grande, meravigliosa, storia. Come fatto (efficacemente?) da un altro fortunato settimo capitolo (Star Wars - Il Risveglio della Forza), il film di Coogler s’inserisce intelligentemente nel canone stalloniano. L’autore, infatti, se da un lato cerca di recuperare i punti chiave della mitologia di Rocky (Philadelphia, la periferia, la musica), dall’altro vuole ri-aggiornare il mito al presente, aprendosi a un nuovo pubblico (non per forza quello afro-americano).
Il risultato, per chi da sempre ama la saga dell’Italian Stallion, è sinceramente imperdibile, ha il sapore del ritorno a casa. Come ben notato da molti, oggi il Rocky working-class-hero, il figlio migliore della comunità operaia e periferica italiana degli anni settanta, non può che fare da mentore al giovane afro-americano che sulle sue stesse strade diventa un simbolo di riscatto sociale.
Il bravo Micheal B. Jordan ha buon gioco a prendersi sulle spalle il peso di questo personaggio imperfetto, di questo piccolo eroe arrabbiato scritto proprio pensando a lui.
Impreziosito anche dalla splendida storia d’amore con la bella cantante Bianca di Tessa Thompson (piccoli ma potentissimi gli sguardi che Coogler dà dentro il mondo musicale underground di Philadelphia), Creed ruota completamente intorno a Jordan esaltandolo.
La vera stella del film, però, non è questa giovane promessa ma quel vecchio, saggio, pugile italiano strampalato, ancora una volta con il volto meravigliosamente deforme del nostro Stallone. Il Rocky di Sly, non poteva essere altrimenti, ruba la scena in ogni occasione, ritagliandosi un ruolo di allenatore/padre putativo, sofferto e commovente, che (noi glielo auguriamo) gli regalerà l’ambita statuetta d’oro. Il merito, oltre che di Stallone, è anche di Coogler.
Sebbene da regista cada in evitabili tranelli indie di autocompiacimento visivo (anche se più di un’intuizione registica funziona), il giovane cineasta, da sceneggiatore, ha la bravura di dare il giusto spazio ai suoi attori, di costruire tra di loro rapporti umani forti e credibili, persino di rendere protagonista l’enorme fantasma di Apollo Creed, questa immensa presenza invisibile che avvolge ogni scena del film.
Creed, dunque, non solo è un’opera seconda che indirizza al meglio la carriera del suo talentuoso autore, ma è soprattutto un prodotto nostalgicamente ed emotivamente travolgente, di quelli che ci riportano ai bei tempi in cui bastava poco per dire di amare il Cinema.