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Mercoledì, 03 Lug 2024

The Look of Silence, di Joshua Oppenheimer, durata 102’, nelle sale dal 27 gennaio 2016, distribuito da I Wonder Pictures.

Recensione di Luca Marchetti

In occasione della "Giornata della memoria", a ben due anni dal passaggio trionfale al Festival di Venezia (dove vinse il premio della giuria), ritorna nelle sale italiane The look of Silence, il potente documentario del regista americano Joshua Oppenheimer sui massacri indonesiani degli anni sessanta.

Il regista torna nei luoghi oscuri già raccontati nel precedente The Act of Killing, stravolgendo questa volta la sua ottica. Il film, infatti, segue la ricerca della memoria di Adi, un ottico ambulante, pronto ad affrontare i carnefici di suo fratello maggiore, mutilato e torturato durante le epurazioni. Il viaggio di Adi e Joshua, la loro odissea tra le esistenze arroganti di vecchi boss paramilitari e zelanti soldati diventa presto una discesa all’inferno, un vagabondaggio nell’anima nera di un paese che non ha mai voluto fare i conti con il proprio sanguinoso passato.

Vedere assassini e mandanti sedere in luoghi di comando, tronfi della loro posizione d’autorità, fieri, con sorrisi da rettili, di essere rimasti con la forza e la violenza “dalla parte della ragione”, getta una luce oscura e tenebra sull’Indonesia, non affatto bilanciata dall’orgogliosa sete di verità di Adi e dei suoi anziani genitori.

La figura del protagonista, quest’umile uomo capace di fermi e straordinari atti di coraggio, pur non riscattando (probabilmente agli occhi occidentali) la coscienza del proprio Paese, è un chiaro esempio, universale, di dignità, non troppo lontana da quella manifestata da molti altri sopravvissuti.

Dopo il suo lavoro precedente, che attraverso i racconti spavaldi dei carnefici ricrea tutto l’impatto tragico dei massacri, Oppenheimer sceglie di nuovo la strada dell’anti-spettacolarità, del racconto scarno ma diretto come una pugnalata. Il regista, infatti, affidando la maggior parte della narrazione alle testimonianze delle famiglie delle vittime, ai confronti verbali durissimi con gli assassini, rende la Parola lo strumento narrativo ed emotivo più spiazzante.


Il regista non ha bisogno d’immagini di repertorio o di trovate scioccanti, il suo meccanismo per proiettare lo spettatore dentro la tragedia, all’interno dell’orrore, è solo attraverso la voce e il racconto. In questo modo, The look of Silence, con il suo innegabile fascino esotico da documento di un mondo così diverso da noi (è impossibile distogliere gli occhi dalle usanze e dai modi degli indonesiani, così in bilico fra la parodia degli occidentali e la fiera imposizione della propria tradizione), si dimostra un’opera di una forza inimmaginabile, la testimonianza anti-retorica di una storia lontanissima (nello spazio e nel tempo) ma comunque straziante.

L’intelligente decisione de I Wonder Pictures di riproporre il film (candidato ai prossimi Oscar come miglior documentario) in occasione della commemorazione della Shoah, è una presa di posizione concettuale chiara: non c’è distinzione umana tra Adi di fronte ai criminali indonesiani e i sopravvissuti ai campi di concentramento di fronte ai gerarchi nazi-fascisti. Sono entrambe prove del coraggio di chi non vuole dimenticare, per affermare sempre e comunque l’importanza della memoria. 

Tutti eroi, straordinariamente umani, nella battaglia tra il coraggio della Verità contro l’Oblio delle barbarie.

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