The Founder, di John Lee Hancock, con Michael Keaton, Linda Cardellini, Patrick Wilson, Nick Offerman, Laura Dern, John Carroll Lynch, B.J. Novak, durata 115’, nelle sale dal 12 gennaio 2017, distribuito da Videa.
Recensione di Luca Marchetti
The Founder non è il classico, scontato biopic su un grande americano, scritto e prodotto come operetta morale e patriottica, ma è, soprattutto, la parabola spietata di un uomo affamato di successo.
Il film di Hancock racconta, infatti, la vita ambiziosa e i miracoli commerciali di Ray Kroc da Oak Park, l’uomo che “fondò” l’impero di McDonald.
Dopo il football americano della favola sportiva The Blind Side e la Hollywood di Saving Mr. Banks, il regista texano affronta, in un percorso lucido sull’identità culturale-capitalista degli Stati Uniti, la nascita e le vicende del fast food, altro pilastro della comunità a stelle e strisce, raccontando la storia “segreta” della catena di ristoranti più famosa del mondo. Il personaggio di Kroc, però, è ben diverso dall’industriale illuminato che le apparenze possono far credere.
Il protagonista di The Founder, sulla carta, è molto simile al Walt Disney raccontato in Saving Mr.Banks. Entrambi, uomini dal grande intuito, scelgono di afferrare le creazioni di altri per sfruttarle al massimo, oltre le ottuse e miopi idee dei propri autori. Ma se Disney, nel suo carisma, sceglie di avvicinarsi umanamente ed emotivamente a P.L. Travers per il bene di Mary Poppins, facendosi consegnare l’opera, Kroc, come il peggiore dei mostri, cannibalizza il sogno dei fratelli McDonald.
Come un lupo invitato in un placido pollaio, l’uomo usurpa i titoli dei due ingenui e provinciali ristoratori, li affascina con le promesse e li tradisce meschinamente. L’industriale diventa così da venditore fallito un magnate violento, completando la sua evoluzione da debole sognatore a feroce villain.
Michael Keaton, reduce dalle grandi prove (e dalle delusioni Oscar) di Birdman e Il caso Spotlight, mette tutto se stesso nella prova che, pur non riscuotendo grandi attenzioni dai circoli critici più quotati, si conferma subito come una delle più convincenti della carriera recente dell’attore.
E’ indubbio che Keaton, alle prese con un ruolo ampiamente sopra le righe, si diverta a dare sfogo alle sue mosse e alle sue espressioni, lasciando libero il suo lato arrogante e spregiudicato. Il suo ghigno storto, le sue cravatte strambe e un accento duro come la pietra, sono piccole aggiunte che l’attore ha inserito per rendere il suo personaggio ancora più luciferino.
Alla fine, quella che Hancock e Keaton danno di Kroc non è l’interpretazione agiografica di un padre della patria, ma il ritratto di uomo che trova il suo riscatto solo divorando gli ostacoli. La fotografia di un perfetto one self man.
critico cinematografico